Un anno di Covid: le strategie di Chalet 3.0 per restare al passo coi tempi

Dalla chiusura improvvisa alle chiusure a singhiozzi. Per il settore della ristorazione il Covid ha rappresentato una bomba a orologeria. Simona V. titolare del locale Chalet 3.0 sito a Carpi in Piazza Garibaldi ha raccontato le strategie messe in campo per disinnescarla e non esplodere.

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Un anno fa l’Italia entrava in lockdown. L’emergenza sanitaria costringeva alla chiusura bar e ristoranti, mentre il Covid cambiava (per sempre?) il profilo della società e le abitudini gastronomiche. La pandemia ha inevitabilmente generato una grossa crisi economica, anche e soprattutto per il settore della ristorazione. È stato un anno durissimo per i pubblici esercizi, tra aperture a singhiozzo e chiusure con la sola possibilità di asporto e delivery. Ma quasi tutti, nonostante le enormi difficoltà e le gravi perdite, stanno provando a reagire, come ha testimoniato Simona V. titolare di Chalet 3.0.

Quali strategie avete adottato per adeguarvi al servizio di asporto e delivery, le uniche attività a voi permesse?

Un anno fa la pandemia ci ha colti impreparati. Abbiamo preferito stare fermi piuttosto che attivare su due piedi un servizio che non fosse all’altezza dei nostri parametri, ma abbiamo impiegato quei mesi di chiusura forzata per mettere a regime il servizio di asporto e delivery affinché fossimo pronti ad eventuali altre chiusure. E così è stato.

Il mondo della ristorazione con il primo lockdown di marzo e con le restrizioni dei mesi scorsi tra zone arancioni, rosse e gialle sta cambiando ad una velocità mai vista prima, e ciò che si dava per scontato non lo è, e non lo sarà più. I clienti hanno rimodellato le loro abitudini di consumo e noi abbiamo cercato di prendere di petto queste nuove dinamiche integrando i servizi di asporto e delivery all’attività classica del locale”.

Pensa che queste abitudini rimarranno anche dopo la pandemia?

Credo fermamente che il delivery non potrà mai sostituire in alcun modo lo spirito della cena al ristorante, il piacere insito nell’ uscire a cena fuori e tutte le emozioni che circondano questo rituale. Ma penso anche che il servizio di delivery rappresenta un nuovo modello di business che continuerà anche dopo la pandemia e verrà sempre più richiesto dalle persone. Per questo stiamo continuando a fare ricerca e selezione per cercare di renderlo sempre più performante”.

Cosa avete fatto dunque?

Per prima cosa tra giugno e luglio dello scorso anno abbiamo aperto un sito internet www.chaletcarpi.it dove il cliente può trovare una sezione dedicata all’acquisto online su cui è possibile ordinare 24 ore su 24, scegliendo il giorno e la fascia oraria del ritiro presso il nostro locale o della consegna a domicilio o sul posto di lavoro. Spesso riceviamo ordini di notte o la mattina presto, e se non avessimo un sito ad hoc sarebbe impossibile gestirli solo con le telefonate.

Questo vuol dire che ormai le persone vogliono la “reperibilità” a 360 gradi. Abbiamo acquisito tanti clienti nuovi che hanno continuato a usufruire di questi servizi anche nei pochi mesi in cui ci hanno lasciato aperto.

Tra le consegne più “speciali” ci sono stati ordini di figli lontani che hanno regalato i menù ai genitori anziani, ma anche bottiglie di vino con dedica per il compleanno di un amico e, di recente, abbiamo fatto una consegna in contemporanea in quattro case per il diciottesimo di una ragazza che ha festeggiato tramite Skype con le sue amiche”.

Avete attivato altre iniziative particolari?

Un’altra iniziativa attivata in questo anno cosi complicato è stato quella che abbiamo chiamato #Lontanimavicini: una felpa nera con il logo Chalet 3.0. In molti clienti l’hanno indossata e abbiamo chiesto loro di scattare e inviarci una foto. È stato un modo per non dimenticare l’affetto e la vicinanza che ci hanno dimostrato in questi lunghi mesi di chiusura e lontananza.

Questa pandemia ci ha portato di fronte al fatto che siamo veramente tutti, in questa terra, connessi in qualche modo. L’altra constatazione, come le grandi crisi insegnano, è stata il fatto che tutti ci siamo messi in discussione e abbiamo pensato e realizzato progetti che prima non avremmo mai immaginato”.

Chiara Sorrentino