“Sembra fantascienza ma non lo è”

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A mancargli di Carpi sono, soprattutto, la famiglia e gli amici. Anche la pizza, a dire il vero. Ha infatti dovuto accontentarsi di quella, presumiamo scarsamente appetitosa, servita nei locali degli Stati Uniti, nei quali risiede da ormai quattro anni. Si tratta di Marco Govoni, fisico trentaduenne con un dottorato in Nanoscienze e nanotecnologie che, dall’ateneo modenese, l’ha portato ad attraversare l’Atlantico, per approdare all’Università della California prima e a quella di Chicago poi. Nella città del vento, come è anche chiamata la metropoli – terza per grandezza negli Usa – posata lungo le rive del lago Michigan, Marco è diventato ricercatore presso l’Istituto di Ingegneria Molecolare, che opera sia all’università che al laboratorio nazionale Argonne. Il suo impegno è nello sviluppo di nanotecnologie da applicare nel campo delle energie pulite: “l’energia è un bisogno primario – spiega – va raccolta, immagazzinata e, infine, utilizzata. La generazione di pannelli solari che possono estrarre più energia dal sole rispetto a quelli già presenti in commercio, o la produzione di batterie in grado di immagazzinare più energia, pur rimanendo leggere e sicure, sono solo alcuni esempi di ciò che ci aspettiamo di trovare esplorando il nano-mondo, ovvero studiando ciò che accade su una scala circa 10mila volte più piccola del diametro di un capello. L’ingegneria molecolare si occupa di studiare le proprietà di alcuni costituenti dei materiali, per esempio molecole o aggregati di molecole, con lo scopo di tradurre i recenti avanzamenti in fisica, chimica, biologia e informatica in innovazione scientifica e tecnologica e competizione industriale. Oltre alle ricadute sul settore energetico, gli ingegneri molecolari studiano la risposta immunitaria a invasioni tumorali, la produzione di acqua attraverso tecniche di purificazione e la sua distribuzione in agricoltura, lo sviluppo di nuovi computer quantistici capaci di risolvere problemi sinora insoluti e, ancora, ridurre i costi di produzione di componenti elettronici, biomedicali e meccanici attraverso materiali in grado di autogenerarsi. Mi rendo conto che pare fantascienza ma se avessi la possibilità di portarvi con me a Chicago scoprireste laboratori all’avanguardia, strumenti di misura, teorie rigorose, calcoli al computer e un team di lavoro molto variegato”. In questo periodo l’attività di Marco consiste nel dirigere lo sviluppo di un software in grado di simulare le proprietà elettroniche della materia. Il codice è open-source, chi fosse curioso – e, come dice lui stesso, “per essere bravi scienziati bisogna esserlo” – potrebbe rendersi conto in prima persona delle sue funzioni visitando il sito www.west-code.org e contribuendo addirittura al suo sviluppo. Per risolvere problemi molto complessi il codice si avvale della potenza offerta da centri di calcolo paralleli come, per fare un esempio che riguardi l’Italia, Cineca. Se tra gli aspetti più stimolanti del proprio lavoro Marco annovera l’essere posto davanti a sfide e incognite sempre nuove, a volte può essere frustrante. “Trovarsi a pensare a equazioni e alle loro soluzioni nel mezzo della notte, nei fine settimana o durante una cena romantica, e non aver il tempo di sviluppare tutte le idee che si hanno è logorante”. Nel momento in cui questa intervista ha luogo, Marco è in Giappone, confermando così l’esperienza di nomadismo a cui la comunità scientifica sottopone i propri membri. Un vagabondare tuttavia piacevole: “mi sento nomade, oserei dire cittadino del mondo. Sentirsi stranieri è un’esperienza educativa e formante. Il senso del cambiamento, della trasformazione, del continuo divenire, è un’esperienza che consiglio a tutti, almeno una volta nella vita. Immaginate di cambiare tutto di colpo, non solo fuso orario, cibo e lingua, ma anche stile di vita: osserverete differenti punti di aggregazione (non c’è più la piazza!), mezzi pubblici, sistema scolastico, modalità di accesso ai servizi sanitari, di gestione dei rifiuti e via discorrendo.  Si tratta insomma di un arricchimento culturale che mi permette di affermare anche che l’Italia è davvero un paese straordinario, malgrado qualche imperfezione”. A Chicago, una città operosa, ricca di opportunità culturali, socialmente molto varia e multietnica, Marco afferma di trovarsi bene, sebbene riconosca come, dopo l’elezione di Donald Trump a presidente, l’aria si sia raffreddata. “C’è molta tensione e agitazione. Chicago si è espressa prevalentemente per la candidata opposta, ma è stato proprio il Midwest a rivelarsi determinante per la vittoria di Trump. Ora speriamo che prenda il via un dialogo proficuo e che possa risolvere alcuni dei problemi sociali, economici e culturali emersi da entrambi gli schieramenti durante la campagna elettorale”. Marco in città può contare anche su di un gruppetto di concittadini: “a volte ci incontriamo per strada o usciamo, proprio come se fossimo in Italia. La fuga dei cervelli ha a che fare con le scarse capacità del panorama universitario italiano di attrarre permanentemente il personale formato. E’ triste, ma questo implica anche che chi si forma nel nostro Paese è valutato positivamente all’estero. Per avere, insieme a quella in uscita, anche una mobilità in entrata, è necessario investire maggiormente in ricerca, nelle eccellenze formative, che si offrano salari e condizioni di lavoro competitive, e si instauri un dialogo col tessuto industriale, in modo che il contribuente possa vedere sul proprio territorio i risultati degli investimenti pubblici, o privati, in termini di innovazione tecnologica e competizione industriale”. E la politica italiana – l’unica ad avere il potere di realizzare, attraverso le riforme, quanto prospettato da Marco – come la si vede da così lontano?  
“La si percepisce come molto caotica. Nell’ultimo referendum è stato complicato informarsi sul significato del quesito, quantomeno inizialmente. All’estero l’Italia è considerata un Paese disorganizzato, ma gli italiani sono apprezzati proprio per essere persone creative, originali e divertenti”.
Marcello Marchesini

 

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