E’ tra i più temuti e severi critici gastronomici del Belpaese. Giornalista, scrittore e conduttore del programma domenicale Melaverde, Edoardo Raspelli da oltre quarant’anni ci racconta il cibo. Attraverso la terra, il territorio e la tradizione. Ospite della Festa del Racconto (sarà a Carpi sabato 3 ottobre, alle 10,30, in Piazza Garibaldi) gli chiediamo:
Qual è il libro del suo cuore?
“Ricordo che in quinta elementare non mi perdevo un giallo della collana Urania e Mondadori; alle medie, ho scoperto Calvino, Cassola, Hesse… fino alla maturità classica ho letto davvero di tutto. Quando ho iniziato a lavorare per il Corriere, a 22 anni, non avevo più tempo da dedicare alla lettura ma, nonostante ciò, ci sono testi che hanno comunque segnato la mia vita. Tra questi, Le amicizie particolari di Roger Peyrefitte, la poetica storia dell’iniziazione sentimentale di due ragazzini chiusi in un collegio cattolico. Lo lessi intorno ai 16 anni: mi commosse e mi sconvolse moltissimo.Ora non leggo più nulla a parte otto quotidiani al giorno naturalmente…”.
Quindi oggi il suo comodino è sgombro…
“In realtà sul mio comodino da dieci anni a questa parte stazionano due testi: La paura degli altri e il copione di una tragicommedia che vidi a San Babila a Milano, Compagni di classe. Ammetto però di consultare, di tanto in tanto, il vangelo della gastronomia italiana, ovvero Le ricette regionali italiane di Anna Gosetti Della Salda”.
Qual è la cucina che ama di più?
“Le più grandi cucine del mondo sono tre: l’italiana, la francese e la cinese. Forse la nostra è la più grande, basti pensare al riso: nel nostro Paese, rappresenta un ottimo primo piatto da cucinare in mille modi diversi e non costituisce solo un accompagnamento. Se, invece, parliamo di ristorazione, allora le cose cambiano e il primato va senza dubbio alla Francia. Gli italiani vogliono mangiare tanto e spendere poco, i francesi, nonostante la crisi, almeno una volta all’anno si concedono il lusso di spendere mille euro in un grande ristorante e non lo fanno per ostentazione, bensì per il piacere di mangiare”.
Quale piatto della tradizione emiliana predilige?
“Non saprei da dove partire… una tigella con battuto di lardo, rosmarino e un pizzico di sale conserva il sapore della mia infanzia a Pievepelago. O, ancora, del culatello di Zibello dop del Consorzio Antichi Produttori, ma potrei parlare anche dei tortelli di ricotta col burro fuso…”.
Oggi si fa un gran parlare di cibo. Spopolano talent su cucina e pasticceria. Da dove nasce tutto questo interesse per il cibo?
“Io conduco una trasmissione itinerante alquanto costosa: tutti i programmi fatti in studio, al contrario, sono poco onerosi. I cuochi (a meno che non siano Marchesi, Bottura, Oldani o Cracco…) non si fanno pagare poiché la presenza in televisione regala loro visibilità e, di conseguenza, pubblicità gratuita mentre il pubblico alla fine della trasmissione mangia e quindi la produzione non deve nemmeno pagare le comparse… E poi non dimentichiamoci che la crisi economica ha colpito le famiglie: la gente ha pochi soldi da spendere e, spesso, la Tv offre ben poco”.
Qual è il segreto di un critico gastronomico?
“Scrivere restando sempre dalla parte della gente. Per cogliere i ristoratori di sorpresa prenoto sempre utilizzando uno pseudonimo: nessuno mi aspetta e pago sempre i conti. Oggi i giornali sono pieni di marchette, inaugurazioni di ristoranti stellati… Vere e proprie orge di complimenti: io, al contrario, so ancora stroncare. Credo che la gente meriti tale onestà”.
Lei cosa ama mangiare?
“Dopo il bendaggio gastrico, grazie al quale sono sceso da 126 a 92 chilogrammi, il mio modo di mangiare è completamente cambiato: devo mangiare poco, masticare moltissimo e prediligere le cose morbide… Oggi a mezzogiorno, ad esempio, ho mangiato un passato di verdura con poca pasta… Quando ho fame però ho imparato a ingannare il bendaggio con pane, burro e acciughe o con cioccolato e caramelle. Ovviamente citrosodina e liquirizia sono sempre con me”.
Con Melaverde viaggia per l’Italia in lungo e in largo. Quanto è prezioso salvaguardare le tipicità e le tradizioni del territorio?
“Credo sia fondamentale ma, ciò che tutti noi dovremmo invocare a gran voce, è l’introduzione di una sorta di targa. Dobbiamo pretendere di sapere dove nasce la materia prima, dove è stata allevata o coltivata e poi macellata o raccolta e, infine, impacchettata. Troppo spesso crediamo di mangiare prodotti tricolore quando in realtà la materia prima non è italiana. Io sono un cittadino del mondo ma se sono in Italia desidero mangiare bene italiano. Quando mangio, voglio sapere esattamente dove sono. In quale Paese”.
Jessica Bianchi