L’arma a oggi più efficace contro il Covid? I tamponi su larga scala

Il professor Andrea Crisanti, che ha guidato l’esperimento di tracciamento e contenimento del contagio a Vo’ Euganeo, primo focolaio del Coronavirus, spiega perché l’Italia sta facendo meglio degli altri Paesi europei.

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Andrea Crisanti

I casi di Covid nel mondo sono in continuo aumento e non accennano a diminuire. La situazione in cui versano molti paesi europei è drammatica: ma cosa differenzia Spagna, Francia, Olanda, Inghilterra… dall’Italia, dove la curva del contagio, seppur in crescita, non procede altrettanto velocemente? A spiegarlo, in occasione del Festival della Scienza Medica di Bologna, è stato il professore di Microbiologia all’Università di Padova, Andrea Crisanti.

Crisanti, lo ricordiamo, si è trovato nell’occhio del ciclone sin dal primo minuto dello scoppio dell’emergenza sanitaria: è stato infatti Vo’ Euganeo, comune di poco più di 3.500 abitanti in provincia di Padova, l’epicentro dell’epidemia nel nostro Paese. Da quel primo caso, il “modello” Vo’ ha fatto scuola. “Se oggi l’Italia ha una situazione di crescita di contagi nettamente inferiore a quella dei nostri vicini lo si deve anche ai dati che abbiamo acquisito in termini di dinamica di trasmissione del virus e alle misure di controllo messe a punto a Vo’”, ha spiegato il professore. La comunità ristretta di Vo’, con una rete di interazioni identificabili e limitate, ha infatti permesso di sviluppare il cosiddetto network testing, considerato da Crisanti un’alternativa ben più efficace al contact tracing, strumento di gestione della pandemia dai numerosi limiti. “L’obiettivo del contact tracing – ha spiegato Crisanti – è quello di identificare tempestivamente i casi di positività, isolare i contatti e ridurre all’interno della comunità le persone infette per bloccare o perlomeno rallentare la trasmissione del virus. Un’attività complessa che necessita di risorse enormi, in termini di personale e competenze da mettere in campo e che, quando si raggiunge un elevato numero di malati, porta qualsiasi sistema al collasso. Tale metodo si basa inoltre sulla capacità dei singoli di ricostruire la propria rete di contatti, fino ai 5 giorni precedenti la scoperta della positività, tempo di incubazione e successiva manifestazione degli eventuali sintomi, ma la memoria è scarsamente affidabile, soprattutto quando si sta male o si è emotivamente sopraffatti. In questo modo sfuggono alle maglie del controllo diversi ambienti di interazione e questo impedisce di circoscrivere – e spegnere – i focolai nascenti”. Un’altra variabile di cui tenere conto è R0, ovvero la capacità di riproduzione del virus che, nel caso di Sars Cov2, è vicino a 2,7 – 2,8. “Ricordiamo che il valore di R0 – spiega il professor Crisanti – può essere ridotto a 1 solo se il contact tracing è in grado di identificare il 90% dei contatti: quando i contagi sono in aumento è facile capire l’inadeguatezza di questo metodo”. Anche la tecnologia pur correndo in nostro aiuto non sopperisce del tutto alle lacune di tale approccio: “l’efficacia di sistemi come la App Immuni dipendono non solo dalla qualità dello strumento informatico ma anche dalla percentuale di persone che la scaricano e sappiamo bene quanta resistenza abbia incontrato nel nostro Paese”. E allora quale metodologia occorre adottare? Per Crisanti l’alternativa più efficace è il network testing. “Ci sono diversi livelli di interazione delle persone: l’ambiente familiare, quello lavorativo o scolastico. Invece di basarci sul ricordo dei singoli, il network testing testa a tappeto tutti gli appartenenti a questi spazi di interazione: famiglia, amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro. Così si possono isolare tempestivamente anche gli asintomatici, che abbiamo scoperto avere una carica virale paragonabile a quella del soggetto malato, isolarli e spegnere sul nascere ulteriori contagi”. Un po’ come utilizzare la rete a strascico al posto della canna da pesca: un’identificazione precoce dei casi che ha consentito di ridurre a Vo’ Euganeo l’R0 del 98%. “Abbiamo testato circa l’86% della popolazione (escludendo solo i non domiciliati) e la prima rilevazione ha portato a 88 persone positive, circa il 3%. Sono stati chiusi i confini municipali e sono stati isolati i positivi e i loro familiari, senza però impedire alle altre persone di circolare liberamente all’interno del territorio comunale. Insomma non c’è stato un lockdown come nel resto di Italia. Il risultato? Al secondo campionamento i positivi erano 28”. Così, mentre il 2 marzo Vo’ Euganeo contava 88 casi di positività sui 273 individuati in Veneto, al 30 maggio i casi nel piccolo comune erano invariati, mentre la Regione ne contava circa 20mila. “Grazie al modello matematico che abbiamo elaborato siamo stati in grado di comprendere che l’infezione è arrivata la prima settimana di febbraio, di modellare quanto accaduto e di ipotizzare cosa sarebbe successo se non fossimo interventi. Se Vo’ non fosse stata chiusa, la prevalenza sarebbe stata dell’80% laddove si è bloccata al 2,6%, grazie alla riduzione del 98% di R0. La trasmissione è stata azzerata, un risultato davvero portentoso”, prosegue il professor Crisanti.

“L’implementazione del network testing, la somministrazione di tamponi su larga scala, ma soprattutto la corretta e tempestiva somministrazione dei test sono le armi a oggi più efficaci che abbiamo per proseguire su una strada che sta portando buoni risultati”. La differenza con i nostri vicini di casa europei è dunque la “maggiore capacità di fare diagnosi” conclude Crisanti, che nella sua Università sta sperimentando il test sublinguale, efficace primo step per capire se una comunità è a rischio e intervenire tempestivamente con il tampone per spegnere i focolai.

Jessica Bianchi

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