Terremoti ed edilizia: come rendere più sicuri i nostri edifici

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Ogni terremoto che si verifica nel nostro Paese rivela le infinite carenze strutturali del nostro patrimonio edile. Nel dibattito a caldo, quello di pancia, che rimpalla sui media e di social in social, dopo il conto delle vittime dell’ennesima tragedia, si ripropongono puntuali vecchie litanie e l’immancabile balletto delle responsabilità, spesso culminante nella ricerca di un capro espiatorio che consenta di acquietare la coscienza di un Paese drammaticamente impreparato, nel quale il tema della prevenzione rappresenta ancora una chimera. Una volta calato il sipario, si ritorna poi alle solite abitudini, perché la lezione, il nostro Paese, proprio non la vuole imparare. Ma cosa può fare il singolo in tale scenario? Come può un privato, che convive quotidianamente con la pericolosità sismica del territorio, cercare di diminuire la vulnerabilità che invece è molto alta per le caratteristiche proprie della maggior parte del patrimonio edilizio esistente? A rispondere sono l’ingegnere strutturista Leonardo Gualandi e l’ingegnere edile Maria Elena De Franco titolari della società di Ingegneria di Carpi Unigruppo Studio.
Quali sono le analogie e le differenze tra il sisma che ha colpito l’Emilia nel 2012 e quello dello scorso agosto in Centro Italia?
“La principale differenza risiede non tanto nell’aspetto energetico (le magnitudo sono paragonabili) quanto nelle caratteristiche strutturali prevalenti degli edifici. Nel  nostro territorio – spiega l’ingegner De Franco – le costruzioni sono perlopiù realizzate in muratura di laterizio o con telai in cemento armato ed è rilevante la presenza di tipologie prefabbricate, le quali hanno  costituito l’unicità – almeno sul piano dell’entità e dell’estensione territoriale dei danni – del nostro terremoto.  I collassi più gravi in questo tipo di strutture sono avvenuti per disaccoppiamento di macro elementi strutturali dovuto all’eccessivo spostamento. Nella valle del Tronto, invece, le abitazioni sono realizzate per la maggior parte con pietre naturali (materiali diffusi e disponibili sul posto), di grosso spessore e legate con malta povera di calce che offre poca resistenza alle azioni orizzontali. E’ l’antitesi di una struttura resistente al sisma: la grande massa delle murature – aggiunge l’ingegner Gualandi – attira la sollecitazione sismica e lo scarso attrito fra le pietre naturali ne permette la rapida disgregazione con crollo pressoché immediato. Ciò che là è avvenuto sistematicamente da noi si è verificato nell’edilizia rurale e storica molto datata, fortunatamente in larga parte disabitata”.
Dopo l’ennesima catastrofe naturale è stata rilanciata la necessità di introdurre il cosiddetto Fascicolo del Fabbricato, contenente, tra gli altri documenti, anche un Attestato di Certificazione Sismica. Cosa occorre fare per ottenere un’analisi di vulnerabilità sismica? Quanto costa tale diagnosi?
“Se parliamo dell’aspetto strutturale, che è solo una parte del cosiddetto “fascicolo”, le nuove abitazioni devono già da tempo essere adeguate al DM 14.01.08: in questi casi casi – commenta l’ingegner De Franco – tutti i documenti di progetto sono reperibili a richiesta presso gli uffici che li conservano. Più complessa e laboriosa può risultare invece la conoscenza della struttura delle abitazioni esistenti, per le quali il solo rilievo geometrico non è di per sé sufficiente: occorrono infatti dati sulla qualità dei materiali che non sempre sono facilmente rilevabili. Nelle strutture in cemento armato si possono fare indagini non distruttive e poco invasive, mentre negli edifici in muratura, soprattutto se datati, sono decisamente più impegnative per i proprietari, sia dal punto di vista economico che dei danni: seppur limitate, tali indagini (carotaggi, martinetti piatti…), comportano ripristini più onerosi. Mentre nel primo caso possono bastare poche indagini per estrapolare un sufficiente grado di conoscenza dei materiali, nel caso delle murature l’attendibilità dei dati cresce in proporzione al numero delle prove eseguite. Volendo dare un ordine di grandezza puramente indicativo dei costi si passa da qualche centinaio di euro per le prove sul cemento armato a diverse migliaia per quelle sulle murature, tenendo presente che per queste ultime possono essere rilevanti anche i costi di ripristino. Infine si deve considerare la verifica di vulnerabilità, ovvero l’interpretazione dei dati acquisiti ai fini di una valutazione dello “stato di salute” della struttura nei confronti di un ipotetico evento sismico: competenza elettiva degli ingegneri strutturali. A nostro avviso un’indagine così completa e onerosa – prosegue l’ingegner Gualandi –  dovrebbe essere resa obbligatoria nei contesti di proprietà condominiali, dove il singolo non potrebbe sopportare da solo tali costi e la sua sicurezza dipenderebbe dalla volontà di una maggioranza di persone. Oltretutto gli oneri verrebbero ripartiti in modo più sostenibile dai singoli. Per i privati non crediamo si possa andare oltre la corretta informazione sui rischi che si corrono in determinate situazioni (abitazioni datate, con poca manutenzione e degrado visibile), lasciando alla responsabilità del singolo l’approfondimento della conoscenza strutturale dell’edificio”.
Quali sono le metodiche e le tecniche che possono essere adottate per rendere più sicura una casa dal punto di vista sismico?
“Non è possibile, anzi sarebbe in certi casi fuorviante, – spiega l’ingegner Gualandi – definire a priori una metodologia tipo di intervento: ogni caso va considerato nella sua specificità e in relazione al grado di conoscenza acquisito. Nelle strutture prefabbricate industriali, proprio perché colpite in modo sistematico ed esteso, il terremoto dell’Emilia ha dato impulso a un serio approfondimento scientifico del comportamento sismico di tali edifici per cui sono state sviluppate metodologie di calcolo e di progettazione molto efficaci e sostenibili dal punto di vista economico. Nell’esperienza maturata negli interventi con il contributo regionale (Sfinge) si sono ottenuti significativi adeguamenti anche con 50-70 euro al metro quadro. Oggi il costo della costruzione strutturale di un edificio industriale non supera il 30% del valore complessivo dell’insediamento: è a quest’ultimo valore che occorre commisurare l’impatto economico di tali interventi. Molto diverso –  aggiunge l’ingegner De Franco – è il discorso sulle abitazioni civili, la cui varietà architettonica e strutturale è assai meno classificabile dal punto di vista della tipologia di interventi possibili. Più che dare un riferimento parametrico dei possibili costi è utile sottolineare come tali interventi possono risultare del tutto sostenibili, e oltretutto più efficaci, se attuati nel contesto di più generali interventi di ristrutturazione, manutenzione straordinaria o rinnovo sistematico della finiture. Ad esempio, se si deve rifare il rivestimento esterno per un miglioramento energetico (cappotto) si presenta una buona occasione per applicare elementi di rinforzo alle murature d’ambito, approfittando degli stessi magisteri d’opera necessari per la sola manutenzione. Naturalmente il tutto dev’essere sempre coerente con uno studio numerico preventivo (in questo caso assolutamente necessario) del comportamento sismico dell’edificio. Un capitolo a sé stante – sottolinea l’ingegner Gualandi – è invece rappresentato dall’edilizia storica, generalmente in muratura e sottoposta ai vincoli di tutela. Le linee guida legate al restauro di tali edifici sono spesso caratterizzate da assiomi (come ad esempio la “reversibilità”) che – come è nostra abitudine ripetere – il terremoto non capisce. La nostra sede municipale, ad esempio, Palazzo Scacchetti, fu oggetto di un radicale miglioramento sismico, da noi progettato in seguito al terremoto del 1996. Dopo le scosse del 2012 il costo complessivo dei ripristini del Palazzo è stato di poche migliaia di euro: si può dire che i soldi spesi allora – non pochi – furono spesi bene eppure, la maggior parte delle tecnologie impiegate allora, oggi non sarebbero ritenute ammissibili secondo gli attuali principi della conservazione del patrimonio edilizio storico”.
Lo Stato ha previsto dei contributi per coloro che intendono riqualificare anche sismicamente la propria abitazione?
“Se le agevolazioni fiscali per la casa legate all’Ecobonus 2016 verranno rinnovate anche per il 2017, i cittadini avranno ancora la possibilità di recuperare in dieci anni il 65% della spesa sostenuta anche sugli adeguamenti antisismici oltre che sugli interventi di efficientamento energetico, su un totale massimo di 100mila euro”.
Un tema scottante è quello della prevenzione. A che punto siamo?
“La strada da fare è ancora lunghissima… Il tema della prevenzione – sottolinea l’ingegner De Franco – è fondamentale ma, purtroppo, tristemente sottovalutato in Italia, basti pensare che ogni anno sono stanziate decine di milioni di euro per fronteggiare le emergenze a seguito di calamità naturali. Nella mia tesi di Laurea nel 2000 con il professor Giovanni Salizzoni all’Università di Bologna ci eravamo occupati proprio di questo tema: un approccio urbanistico alla riduzione della vulnerabilità sismica, con un piano di investimenti privati incrementati da fondi pubblici erogati “prima” e non “dopo” il sisma per prevenire e non solo riparare gli edifici privati. Da decenni nel nostro Paese si fanno studi sul tema della fattibilità e della convenienza dell’investimento in prevenzione: quello delle agevolazioni fiscali è sicuramente un primo passo in avanti. Tali sgravi potrebbero essere estesi, per esempio, – aggiunge l’ingegner Gualandi – anche alle verifiche di vulnerabilità sismica per avere così una diagnosi dello stato di salute del proprio stabile. In chiave preventiva, anche sul fronte urbanistico le cose dovrebbero cambiare radicalmente: l’urbanistica, infatti dovrebbe dotarsi di tutte le soluzioni necessarie per fronteggiare l’emergenza ben prima che questa si verifichi. Dall’approntamento delle vie di fuga all’organizzazione dei punti di raccolta, alla definizione di un piano di ricostruzione”.
Che cosa ci si deve aspettare in caso di terremoto da una casa antisismica?
“E’ una delle domande più difficili a cui rispondere poiché è complesso spiegare – e far accettare – che la sicurezza in generale, e in particolare quella sismica, è legata a fattori probabilistici. Comunque si sia bravi a progettare la messa in sicurezza delle case, in particolare quelle esistenti, – spiega l’ingegner Gualandi – si fa sempre riferimento a convenzioni: seppur fondate sulla consolidata conoscenza degli aspetti geofisici e della meccanica strutturale, rimangono pur sempre delle convenzioni. Diciamo, per esemplificare, che un edificio progettato correttamente nei confronti dell’azione sismica dovrebbe subire danni limitati in occasione di terremoti di intensità medio/bassa – più frequenti – alle parti non strutturali, riparabili in breve tempo senza pregiudicare l’efficienza strutturale e con costi sostenibili e accettabili (i danni dovrebbero essere quindi commisurati alla capacità del privato di porvi rimedio autonomamente, magari in attesa di eventuali risarcimenti da parte dello Stato). Nei casi dei terremoti più severi, quelli ai quali convenzionalmente si attribuiscono tempi di ritorno di qualche secolo, la prestazione attesa è quella della salvaguardia delle vite umane, accettando che in questi casi la struttura debba essere totalmente ricostruita. In ogni caso, è bene sottolinearlo, è impensabile pretendere – se non a costi insostenibili per la collettività – che un evento sismico significativo non provochi alcun danno agli edifici”.
Jessica Bianchi

 

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