Savor d’uva? No, di barbabietola

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“Era finita l’estate nell’umida Emilia.  Era quel periodo dell’anno in cui le foglie scendevano dagli alberi con aria sonnolenta, passando dal verde acceso a tutti quei colori straordinariamente brillanti dell’autunno. Dalla veranda di casa si vedevano i campi spogliati del raccolto e un velo di nebbia accarezzava dolcemente la terra. Nella grande cucina il fuoco della stufa temperava le mura e, su di essa, trovava spazio un capiente paiolo di rame. Nei miei ricordi di bambina ritrovo il silenzio che aleggiava intorno a noi. Un senso di ricercata tranquillità che definiva le condizioni perfette per mettersi al lavoro. Nonno Bruno si accingeva a preparare una delle sue pietanze migliori: il savor di barbabietola”.

Già dal 1700 a Carpi e nella Bassa si preparava il Sapore, meglio conosciuto come Savor. Questo prodotto era molto importante nell’alimentazione delle famiglie contadine, in quanto sano e nutriente, ideale per superare i rigidi inverni. Il Savor si preparava in autunno, generalmente con il mosto cotto della vendemmia e altre qualità di frutta di stagione. In alcune zone, però, specialmente quelle in cui si trovavano le coltivazioni di barbabietola, era diffusa l’usanza di preparare il Sapore con il mosto di barbabietola. In Italia la coltivazione della barbabietola prese piede alla fine del XVII secolo, specialmente nelle zone della Pianura Padana, Ferrara e Rovigo. All’epoca, però, non si conosceva ancora il sistema per estrarre lo zucchero da questa pianta. Bisognava attendere l’arrivo di Napoleone. Nei primi anni dell’Ottocento lo zucchero di canna era molto diffuso. Ma con le guerre napoleoniche si diede avvio al blocco delle importazioni. Nel 1811 alcuni scienziati francesi mostrarono a Napoleone dei panetti di zucchero estratto dalla barbabietola. L’imperatore rimase talmente colpito da quel sapore dolciastro che ordinò la coltivazione immediata della pianta. Fu così che nel giro di pochi anni sorsero più di 300 fabbriche di zucchero da barbabietola in tutta Europa. La scoperta di ricavare un sapore dolciastro da questa coltivazione stimolò l’ingegno dei contadini della bassa Pianura Padana e, di lì a poco, cominciò a diffondersi l’usanza di preparare il Savor partendo dal mosto di barbabietola. Alcune testimonianze e racconti orali di chi ha vissuto il periodo della cucina povera sono state fondamentali per il recupero di questo patrimonio gastronomico. Bruno mi racconta che quando era giovane raccoglieva le barbabietole, le puliva con cura e le portava a San Giacomo Roncole. Qui lo attendeva una donna molto nota in paese, la quale lavorava le barbabietole sino a ottenerne il mosto. “File lunghissime di persone si formavano davanti allo stabilimento – spiega Bruno – ognuna custodiva gelosamente il raccolto in attesa della sua trasformazione. Il succo che se ne ricavava era la base di partenza per il Savor di barbabietola”. Con lo stesso principio del Savor d’uva, il mosto di barbabietola veniva portato a ebollizione in un paiolo di rame. Si aggiungevano poi pezzi di frutta di stagione, come le pere, le mele campanine, la zucca e scorze di arancia. Si faceva bollire il tutto molto lentamente, anche per un giorno intero, fino a quando il Sapore raggiungeva una consistenza piuttosto densa e una tonalità molto scura, quasi nera. Lo si lasciava raffreddare, quindi lo si adagiava in un recipiente di terracotta e lo si metteva nel forno ancora tiepido, dove precedentemente si era cotto il pane. Arrivati a questo punto, si attendeva il tempo necessario per la formazione di una crosta superficiale, necessaria per la conservazione del prodotto durante l’inverno. Il Savor di barbabietola lo si consumava sul pane, nei dolci come i tortelli fritti, ma sopratutto si mangiava sulla polenta fresca o arrostita.

 

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