Parafrasando Josè Mourinho: chiunque pensi che sia stata solo una serata di calcio, come minimo non capisce nulla di calcio.
Sì, perché ci sono storie di pallone che innervano e descrivono le storie della gente che lo gioca e lo vive. E ci sono partite che hanno la forza di cambiarle per sempre. Questa ne è stata un perfetto esempio. Talmente unica e irripetibile da tratteggiare distintamente una demarcazione tra ciò che è successo prima da ciò che succederà dopo.
È il stato primo derby di campionato sotto le stelle. Il primo targato serie B al Cabassi, che per l’occasione ha registrato il primo fulmineo sold-out degli anni Duemila. Ed è stato il primo derby veramente globale, mediatico e social, per la vivacità con cui è stato atteso e preparato su internet oltre che sui giornali, in tv, per radio, nei bar, ovunque la gente abbia avuto modo di parlarne e farne parlare. Di qua e di là dal Secchia. È stato insomma un evento trasversale che traccia uno scatto d’epoca lungo quei 20 km mal misurati che separano la Ghirlandina da Palazzo Pio e Piazza Martiri da Piazza Grande (che si chiamerà pure Grande, ma è più piccola della nostra).
È stato insomma il derby che, più di ogni altro in passato, ha autenticato a Carpi-Modena la patente di derby. Perché da qua in poi, nessuno, ma proprio nessuno, potrà più far finta che sia una gara come le altre.
Molto più che una questione di pallone: è stato un carnevale privato, una sagra sportiva dei nostri campanili. La rappresentazione di una rivalità dinastica tra chi domina diacronicamente il territorio fingendo di non avere vicini di casa, e chi invece vive da secoli all’ombra, inseguendo un’autonomia mai riconosciuta.
È cominciato con una scenografia circolare di cui non si ricordano precedenti da queste parti: migliaia di bandierine biancorosse sventolate in tutti i settori. Una miniatura di Honk Kong nella notte del Capodanno del Drago.
È proseguito coi messaggi degli Ultras, sostanzialmente tre motti d’assimilazione tra città e squadra, i codici del folklore: il sentimento (“Forza Vecchio Cuore Biancorosso”), l’appartenenza (“Fieri dei nostri colori”) e l’orgoglio della diversità (“Da sempre senza Provincia”).
Si è concluso con uno di quei gol metaforici che il calcio costruisce apposta per i derby. Il colpo fuori programma dell’eroe che non t’aspetti. Deviato dalla natica dell’avversario e spinto in porta da tutto lo stadio amico.
Già, il Cabassi. Mai così simbolo e protagonista della scena. Uno gnomo di 86 anni accovacciato sulle sue stampelle di lamiera e cemento. Odiamato, discusso, vituperato, eppure ancora in piedi. Orgoglioso e fedele. È finita pari, ma alla fine ha vinto lui.
Enrico Gualtieri