Medici di famiglia: pochi e sovraccarichi, “la situazione è gravissima”

La Medicina Generale è la spina dorsale del Sistema sanitario nazionale ma i medici di famiglia sono sempre meno e il Distretto di Carpi non fa eccezione. A marzo sono tre i medici che appenderanno il camice al chiodo, Luigi Azzolini, Giuliana Tassoni e Anna Frignani, e un altro andrà in pensione nel corso dell’anno. In quindici anni i medici di famiglia del nostro distretto sono passati da 80 a 66. La media è di 1.500 pazienti a professionista di cui la metà è Over 65 e soffre di patologie croniche. Pensionamenti, carenza di nuovi medici e il progressivo invecchiamento della popolazione rischiano di mettere in ginocchio il servizio di assistenza primaria, pilastro stesso della sanità pubblica italiana.

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il dottor Graziano Carvelli

La Medicina Generale è la spina dorsale del Sistema sanitario nazionale ma i medici di famiglia sono sempre meno e il Distretto di Carpi, che comprende Carpi, Novi, Soliera e Campogalliano, non fa eccezione. A marzo sono tre i medici che appenderanno il camice al chiodo, Luigi Azzolini, Giuliana Tassoni e Anna Frignani, e un altro andrà in pensione nel corso dell’anno. “Per sostituire i tre pensionamenti – spiega il dottor Graziano Carvelli, referente carpigiano della FIMMG, Federazione italiana medici di medicina generale – sono stati banditi tre posti da interini, ovvero tre figure a tempo determinato in attesa del bando sulle zone carenti, e hanno risposto in cinque. Per un po’ siamo salvi ma la situazione è complessa. In quindici anni i medici di famiglia del distretto carpigiano sono passati da 80 (dato del 31 gennaio 2011) a 66 (dato del 31 gennaio 2025), quasi tutti organizzati in Medicine di gruppo, ovvero in studi di più medici associati dove sono presenti anche un servizio di segreteria e uno infermieristico”.

14 medici di Medicina generale in meno a fronte di una popolazione sempre più anziana e pertanto caratterizzata da quadri clinici multipatologici e cronici.

Una carenza che sempre più spesso lascia scoperte le zone più isolate e anche alcune frazioni, si pensi ad esempio a Budrione – Migliarina e Cortile rimasti da tempo a bocca asciutta e su cui “difficilmente cambierà qualcosa” ammette il dottor Carvelli, “anche in considerazione del fatto che nessun medico sceglierebbe realtà così piccole dove lavorare da solo senza poter offrire ai pazienti gli stessi servizi di una medicina di gruppo”.

“Quindici anni fa quando sono diventato il segretario modenese della FIMMG – gli fa eco il dottor Dante Cintori – in provincia di Modena c’erano 520 medici di famiglia ora sono 409, un numero destinato a calare ulteriormente con i prossimi pensionamenti. Il distretto di Carpi è tra quelli in maggiore sofferenza ma, eccezion fatta per Modena centro, la situazione è gravissima ovunque. Un disastro”.

Inutile girarci intorno, il lavoro del medico di base è sempre meno attrattivo per le nuove generazioni che preferiscono optare per “specializzazioni più remunerative e meno gravose. A causa della carenza con cui dobbiamo fare i conti, i giovani che si convenzionano si trovano a dover gestire da un momento all’altro dai 1.000 agli 1.800 pazienti. Un sovraccarico di lavoro che non ti lascia un attimo di tregua. Una media è di 1.500 pazienti a professionista di cui, e non è certo un dato irrilevante, la metà è Over 65 e soffre di patologie croniche. Cronicità che, ad oggi, è totalmente in carico alla medicina territoriale. E’ giusto che all’ospedale vengano trattate solo le acuzie ma se non si rinforzano le cure territoriali e il numero dei medici e degli infermieri per seguire questi pazienti, garantire loro la domiciliarità diventa molto difficile”.

Nel modenese 165 medici hanno più di 62 anni: “la flotta di medici laureatasi negli Anni Ottanta, me compreso, è prossima al pensionamento. Lo si sapeva da anni ma nonostante ciò nessuno se ne è preoccupato e le facoltà universitarie di Medicina sono rimaste blindate, a numero chiuso. Una programmazione del tutto inadeguata – sottolinea il dottor Cintori – che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi. Ora le cose dovrebbero leggermente migliorare ma dovremo ancora scontare alcuni anni di grave sofferenza prima di poter fare affidamento sulle nuove leve”.

Sulle teste di questi liberi professionisti ad oggi pende poi una spada di Damocle, ovvero l’ipotesi di una riforma, a cui starebbe lavorando il Governo Meloni, che li farebbe passare da convenzionati a dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Prospettiva che fa storcere il naso a molti, Cintori compreso: “nella maledetta ipotesi che il disegno di legge si concretizzi quei 165 medici di cui parlavo prima e che hanno maturato il diritto di andare in pensione se ne andrebbero via immediatamente, e circa 230mila cittadini resterebbero senza medico da un giorno all’altro. Inoltre i medici di Medicina generale operanti nel modenese hanno 510 dipendenti, posti di lavoro che andrebbero perduti qualora la riforma passasse. Per non parlare poi di come decadrebbe il rapporto fiduciario tra medico e paziente: io mi sono convenzionato il 1° ottobre 1985. In quarant’anni posso dire di conoscere tutto dei miei assistiti. Ho visto nascere i loro figli, i loro nipoti… ho visto morire gli anziani, dopo anni di cure. Siamo il primo presidio di salute ma se diventassimo dipendenti del SSN questo patrimonio andrebbe del tutto perduto: i pazienti si recherebbero in un ambulatorio e sarebbero semplicemente visitati dal medico in turno in quel momento”.

Dipendenza o meno, una cosa è certa, pensionamenti, carenza di nuovi professionisti e l’invecchiamento della popolazione rischiano di mettere in ginocchio il servizio di assistenza primaria, pilastro stesso della sanità pubblica italiana.

Jessica Bianchi

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