La Chiesa di Carpi ha festeggiato la solennità dell’Assunta

I carpigiani sono intervenuti numerosi, anche quest'anno, alla celebrazione della solennità dell'Assunta in Cattedrale dove il vescovo Erio ha presieduto la santa messa e poi guidato la processione per le vie del centro storico. Consegnate, da parte di don Carlo Truzzi e dell'ing. Antonio Gelli, rappresentanti del gruppo "Scintilla" di Carpi, la documentazione e le firme raccolte in diocesi per la richiesta di avvio del processo di beatificazione di don Francesco Venturelli

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I carpigiani sono intervenuti numerosi, anche quest’anno, alla celebrazione della solennità dell’Assunta in Cattedrale dove il vescovo Erio ha presieduto la santa messa e poi guidato la processione per le vie del centro storico nel rispetto delle norme anti-covid 19. Sempre per evitare assembramenti spontanei il Vescovo ha pronunciato l’omelia nel corso della messa e non al termine della processione. All’inizio della celebrazione il saluto del vicario generale monsignor Gildo Manicardi che ha introdotto la consegna della documentazione e delle firme raccolte in diocesi per la richiesta di avvio del processo di beatificazione di don Francesco Venturelli da parte di don Carlo Truzzi e dell’ing. Antonio Gelli, rappresentanti del gruppo “Scintilla” di Carpi.

Di seguito il testo dell’omelia di monsignor Castellucci.

“Ha spiegato la potenza del suo braccio”, dice Maria a Elisabetta parlando di Dio. Con questa espressione, “la potenza del suo braccio”, Maria richiama tante pagine della Bibbia. Mosè aveva detto agli israeliti: “con la potenza del suo braccio il Signore vi ha fatto uscire” dall’Egitto (cf. Es 13.3; cf. 13,16; 15,16; Deut 4,34; 9,29). E in un momento di crisi del popolo, mentre camminava nel deserto affamato, Dio stesso incoraggia Mosè con queste parole: “il braccio del Signore si è forse raccorciato?” (Num 11,23).

Infine il popolo ormai giunto nella Terra promessa, rievocando la liberazione, ripete: “Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e braccio teso” (Deut 26,8; cf. 1 Re 8,42; 2 Re 17,36; 2 Cr 8,32; 2 Mac 15,24). Spesso l’immagine del “braccio potente di Dio”, che difende il popolo dai nemici, compare nei Profeti e nei Salmi (cf. ad es. Sal 89,11.16). Ma qui c’è anche una sorpresa: tra le tante immagini di guerra e di lotta, tra i tanti riferimenti alla potenza di Dio, un salmo richiama piuttosto la tenerezza: là dove il fedele si paragona a “un bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131,2); i pericoli sono tanti, ma il salmista, che rappresenta il popolo, si sente come un piccolo nelle braccia di Dio, paragonato ad una madre. Si comincia a vedere che il braccio di Dio non è solo quello potente che protegge dai nemici, ma anche quello amorevole che culla e custodisce. Calandoci nella mentalità dell’epoca antica, potremmo dire che anche Dio ha due braccia: non ha solo il braccio paterno che esercita il suo potere combattendo, ma anche quello materno che esercita il suo potere amando. Il primo braccio abbatte i superbi e i violenti, togliendo loro la forza; il secondo avvolge i deboli e gli umili, dando loro la forza.

Il Signore ci consegna nelle braccia di una mamma

Nel suo canto di lode, Maria ricorda il braccio potente del Signore in tutti e due i significati: da una parte Dio disperde i superbi e rovescia i potenti dai troni e dall’altra innalza gli umili; da una parte Dio rimanda i ricchi a mani vuote e dall’altra ricolma di beni gli affamati. Quella di Maria, però, non è solo l’esultanza di una giovane ebrea che rievoca la vicenda del suo popolo; è anche l’esperienza personale che lei sta vivendo. La potenza del braccio del Signore, Maria la sta provando nella sua carne. Invece di andarsi a scegliere una regina o una principessa, per mettere al mondo suo Figlio, Dio si è andato a scegliere una ragazza di paese, una donna del popolo, da uno sperduto villaggio della Galilea. Il braccio del Signore è imprevedibile: davvero rovescia, capovolge tutte le attese. Capovolge perfino l’immagine del Salmo: sarà Gesù il “bimbo svezzato in braccio a sua madre”; proprio l’inverso di quello che pensava il fedele ebreo, il quale non avrebbe mai osato immaginare che Dio stesso un giorno si sarebbe affidato alle braccia di una creatura umana. Il Signore si lascia abbracciare e proteggere da una madre. E non solo all’inizio della sua vita terrena, da neonato, bimbo e fanciullo, ma anche alla fine: l’arte cristiana ha rappresentato in modo commovente “la pietà”, l’abbraccio della Madre al corpo del Figlio morto, appena deposto dalla croce. Il Signore si consegna alle braccia di una creatura umana, di una mamma, sia all’inizio che alla fine della sua esistenza terrena.

Ci attende un giudizio da genitori non da magistrati

La Solennità di oggi riserva ancora una sorpresa. Il Figlio restituisce l’abbraccio alla Madre, accogliendola tra le sue braccia nel momento stesso della morte di lei. L’Assunzione di Maria è un mistero, e come tale non c’è concetto o immagine che lo possa rendere. Sappiamo solo quello che ci basta, cioè che Maria non conosce il sepolcro, ma il suo corpo, che aveva dato carne e casa al Signore, viene subito accolto nella gloria; quella che per noi è una mèta attesa, la risurrezione della carne, per Maria coincide con la morte stessa. Ma pur sapendo che non si può rappresentare, l’arte cristiana ha tentato di darne un’idea. In Occidente, come vediamo anche nella nostra Cattedrale, prevale l’immagine di Maria attorniata dagli angeli che sale verso l’alto. In Oriente, invece, è rappresentata la cosiddetta “dormizione di Maria”: la Vergine è stesa, attorniata dagli Apostoli, e di fianco a lei, in piedi, c’è il Cristo glorioso che raccoglie l’anima della Madre. Quest’anima – ecco la piccola sorpresa – è rappresentata come una bimba ancora in fasce, che il Cristo stringe tra le sue braccia. Il Figlio ricambia, con il suo abbraccio, tutti gli abbracci che aveva ricevuto dalla Madre, sia all’inizio che alla fine della sua vita terrena. È un tenerissimo modo di dirci che il Signore raccoglierà l’intera nostra vita. Quello che è successo a Maria succederà anche a noi: dopo la morte non ci attende l’aula di un tribunale, ma un abbraccio paterno e materno. Ci sarà certo il giudizio, cioè la discriminazione tra il male e il bene che avremo compiuto; ma sarà il giudizio dei genitori e non il giudizio dei magistrati. Quanto più avremo amato, tanto più saremo accolti nell’abbraccio eterno del Signore. È questa la “potenza del suo braccio” cantata oggi da Maria.

+ Erio Castellucci