Storia di una capinera

Melodiosa come un usignolo, la capinera è stata spesso condannata, sin dal Medioevo, a vivere in cattività, chiusa in una gabbia e per questo si è trasformata nell’emblema della dolcezza amara, quella di chi sacrifica se stesso e il proprio talento per allietare gli altri.

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Alzi la mano chi non si è commosso nel leggere il bellissimo romanzo epistolare di Giovanni Verga, Storia di una capinera. Maria, la protagonista, costretta a farsi monaca, si spegnerà tra le mura di un convento, per mancanza d’amore e libertà. Pagine in cui si intrecciano la speranza e la disperazione, il desiderio di vivere e l’ineluttabilità della morte.

Ebbene il titolo del romanzo prende le mosse da una delle caratteristiche che più di tutte contraddistingue la capinera: non parliamo del suo capino nero, simile al velo delle monache, bensì del suo straordinario canto. Melodiosa come un usignolo infatti, la capinera è stata spesso condannata, sin dal Medioevo, a vivere chiusa in una gabbia e per questo si è trasformata nell’emblema della dolcezza amara, quella di chi sacrifica se stesso e il proprio talento per allietare gli altri. 

“Dopo usignolo e pettirosso, il canto della capinera è senza dubbio il più melodioso: inizia con un tenue gorgheggio cinguettante per poi terminare con delle note finali potenti e flautate udibili anche a distanza. Il suo canto – a differenza di quello degli altri uccelli che si interrompe nei mesi di giugno e luglio col finire del corteggiamento – prosegue sino alla fine di agosto ed è dunque associato all’estate. Ascoltarla mentre gorgheggia in solitaria è davvero un regalo della natura”, sorride Daniela Rustichelli, delegata Lipu di Carpi. 

La capinera (Sylvia atricapilla) come indica il suo nome è per antonomasia l’uccello delle selve, dei boschi. E’ un silvide robusto, lungo circa 13 – 15 cm, per 17 grammi di peso, dalla silhouette estremamente elegante e dal piumaggio principalmente grigio. Il maschio ha la parte superiore del capo nero, un cappuccio che gli arriva sino agli occhi, mentre la femmina ha una sorta di  berrettina marrone scuro. “La capinera – prosegue la delegata Lipu – è un uccello discreto, teme l’uomo e ama frequentare le zone molto ombrose dove si muove perlopiù sola o in coppie”.

La maggior parte delle popolazioni di capinera, uccelli migratori, sono nidificanti in Europa e svernano anche nel nostro Paese, soprattutto al Sud, ma da tempo, a causa del cambiamento climatico, trascorrono la stagione fredda anche in Pianura padana. Questo uccello che appartiene all’ordine dei passeriformi rientra nel gruppo dei cosiddetti beccofini poiché ha un becco sottile, tipico degli insettivori: “si nutre quasi per tutto l’anno di insetti e ragni. Alcune capinere – aggiunge Rustichelli – sono state viste piluccare anche il dolce nettare dei fiori di Calicanto in inverno e mangiare cachi, frutta e bacche, oltre a frequentare le mangiatoie”.

All’inizio della stagione riproduttiva il maschio costruisce più nidi, anche incompiuti, che vengono sfruttati per il corteggiamento mentre è la femmina a scegliere quello in cui avverrà la cova, solitamente nei punti più riparati tra le piante, anche di conifere, o tra alti arbusti spinosi. 

“Il suo habitat è quello delle foreste ricche di sottobosco ma non disdegna le siepi folte e alte, mentre in città la si può trovare nei parchi con verde maturo e nei cimiteri”, spiega Daniela Rustichelli. La popolazione mondiale di questa specie conta circa 100 milioni di individui, lo stato di conservazione è dunque abbastanza buono anche grazie alla sua capacità di adattamento ma le minacce che ne mettono a dura prova la sopravvivenza sono numerose: “dal taglio degli alberi alle potature selvagge in piena estate che distruggono i nidi o spingono questi uccelli ad abbandonare le covate, passando per i pesticidi che avvelenano le nostre campagne. Per proteggere le capinere e non solo – conclude la delegata Lipu – occorre preservare i corridoi ecologici che collegano boschetti, siepi e giardini. E’ inoltre fondamentale salvaguardare i siti di nidificazione evitando operazioni di taglio e di contenimento della vegetazione arbustiva pazientando sino all’inizio dell’autunno”. Un piccolo sforzo per tutelare una preziosa presenza che ancora popola la nostra città.

Jessica Bianchi

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