Leggendo un articolo dei tanti sul tema Covid e su cui qualcuno sente ancora il bisogno di fare facile ironia, provo l’impulso – a cui do immediatamente seguito – di inviare un messaggio all’autrice, pregandola di resistere, immaginandola alle prese con numeri da registrare, confrontare, riportare. Numeri più grandi di lei, più grandi di noi e di quanto ci sembri di poter ancora sopportare. Numeri che ancora non accennano a diminuire. Lo faccio per la solita convinzione, quasi anacronistica, a volte dimenticata dai più, ma per me sempre fondamentale , che la solidarietà sia l’unica strada percorribile e che la gentilezza sia un prezioso aiuto da poter dare anche a distanza. “Ti scrivo un articolo sulla gentilezza!” le propongo sull’onda dell’entusiasmo. “Sarebbe una carezza” risponde lei, rendendo tangibile in sole tre parole il desiderio di riceverne qualcuna, tra un buffetto, un applauso e uno schiaffo. Perché chiamateci patetici, rincoglioniti, illusi, sognatori o poco pragmatici, ma noi che la nutriamo, la gentilezza, la sentiamo a nostra volta, la notiamo fin nelle forme più piccole d’espressione e ne facciamo oggetto di scambio. E ci accordiamo sul numero di battute che ogni volta dimentico. Da quando questa pandemia ha avuto inizio, ho cambiato casa, quartiere, ho fatto l’intera rotazione degli abiti nell’armadio (come tutti) e ho notato che qualcos’altro è cambiato. Pare incredibile ma per certi versi addirittura in meglio. Riconosco una gentilezza quasi d’altri tempi nei gesti quotidiani. Le file ordinate, la galanteria degli uomini che ti fanno passare per prima all’ingresso, il gran vociare nei tavoli al ristorante che via via diventa un sussurro di discorsi intimi quasi da centellinare e condividere tra pochi. Automobilisti che si fermano più spesso alle strisce pedonali per farti passare, un sorriso prezioso che impari a riconoscere oltre la mascherina, un pensiero di supporto e supporto tra amici e colleghi più sincero, quello tipico di chi sa di essere nella stessa, malconcia barca ma che non perde la speranza di arrivare a riva e quindi rema. Remare contro è spesso più facile, è un modo come un altro di spostare la responsabilità e alleggerire il proprio carico ma se le acque sono difficili e la barca è la stessa, l’equilibrio è il vero obiettivo da prefiggersi. Si è letto e si è sentito ovunque che è bene che ognuno faccia la propria parte. Quello a cui credo io, invece, e che pratico nel miglior modo possibile ogni giorno, è che dovremmo fare più spesso qualcosa per gli altri. La vita di ognuno è sacrosanta e da proteggere, ma questo non preclude la possibilità di sollevare lo sguardo da terra e osservare se qualcosa per gli altri possiamo fare anche noi. E se “fare” è per noi un problema, iniziamo con il “fare caso”. Conosco un ragazzo solidale e coraggioso che in piena pandemia ha donato il midollo osseo. Ora, non dico di arrivare a tanto ma già donando un po’ di gentilezza ve ne verrà restituita almeno il doppio.
Un antico proverbio russo narra che una parola gentile è come un giorno di primavera. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno che questa arrivi!
Elisa Cattini