Alzheimer e dintorni: dottore esiste una cura?

Rubrica a cura di Gafa - Gruppo Assistenza Familiari Alzheimer, col contributo della dottoressa Vanda Menon e della dottoressa Manuela Costa.

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16 Ottobre 2020 – Sono fuori dalla porta dell’ambulatorio della Specialista assieme a mio marito. Siamo già stati qui per degli accertamenti il mese scorso a causa dei problemi di memoria di Aldo, mio marito: dimentica le cose, si confonde, non riesce più a tenere in ordine il suo amato laboratorio…

Dopo le visite e gli esami che la Specialista ha richiesto eccoci finalmente qui, convocati per il responso.

La porta si apre e la dottoressa ci accoglie con un sorriso e ci invita a sedere. Il suo sorriso mi rincuora ma mi sento comunque in ansia: una parte di me teme di aver già la risposta, l’altra parte cerca di convincersi che non sarà niente di grave, questa perdita di memoria di Aldo, magari è solo lo stress per il pensionamento… Una volta seduti la dottoressa inizia facendo un breve riassunto di tutto quello che abbiamo fatto finora e si sofferma sui risultati dei vari esami. Ok, mi dico, e quindi? Le successive parole della dottoressa mi arrivano dritte al cuore: “Suo marito sta sviluppando una malattia del cervello che non gli permette più di trattenere le nuove informazioni e pregiudica alcune delle sue capacità di svolgere bene gli abituali lavori della quotidianità. Dagli esami eseguiti e dalle visite effettuate si presume che abbia sviluppato una forma di demenza che ha le caratteristiche della Malattia d’Alzheimer…”

Ecco, lo sapevo. La dottoressa parla ancora ma io ho in mente tante di quelle cose da chiedere che faccio fatica a restare concentrata sul discorso. Come se intuisse il mio smarrimento lei fa una pausa, ci sorride con calore e chiede: Volete farmi qualche domanda?.

Tra le tante che mi vengono in mente, una mi sembra la più importante, ora: Dottoressa, ma la demenza può essere curata?

 

Nel dialogo sopra descritto, puro frutto della fantasia (non esiste nessun signor Aldo con queste caratteristiche), abbiamo voluto semplicemente rappresentare uno dei tanti colloqui che testimoniano momenti di quotidianità nei nostri ambulatori di Neurologia e di Geriatria specializzati nella cura dei disturbi cognitivi e delle demenze (CDCD).

Una delle domande più frequenti che ci pongono i familiari e, inizialmente, anche lo stesso paziente, riguarda infatti essenzialmente la possibilità che la demenza possa essere curata.

Per tentare di rispondere a questa domanda occorre fare alcune riflessioni, che permetteranno di comprendere come l’argomento sia ancora aperto, sebbene nel corso degli ultimi anni il problema demenza sia diventato un tema centrale negli studi delle Comunità scientifiche.

Proviamo a rispondere. I farmaci che attualmente vengono utilizzati nei pazienti con malattia di Alzheimer, che rappresenta la forma di demenza più comune, (inibitori dell’acetilcolinesterasi e memantina) sono solo farmaci sintomatici, che possono migliorare alcuni aspetti della malattia, ma non arrestarne il decorso. I limiti di tali trattamenti e l’avanzare delle conoscenze sui meccanismi alla base dello sviluppo della malattia di Alzheimer hanno portato la ricerca a orientarsi verso approcci terapeutici alternativi, che cercano di rallentare o inibire la progressione della malattia. Non conosciamo la causa prima della malattia di Alzheimer, ma gli studi scientifici hanno mostrato che l’accumulo nel cervello di due proteine alterate nella loro struttura normale, Abeta e tau, giocano un ruolo importante nello sviluppo e progressione della malattia.

Farmaci in grado di impedire l’accumulo di queste proteine dunque dovrebbero avere il potere di modificare la storia naturale di malattia. In base a queste scoperte sono stati approntati farmaci diretti a modificare la formazione ed il deposito della proteina Abeta. La rimozione di Abeta grazie all’immunoterapia attiva o passiva (vaccini) è un approccio terapeutico in cui sono riposte grandi speranze. L’immunoterapia attiva prevede la somministrazione di una proteina con caratteristiche simili ad Abeta che va a stimolare il sistema immunitario ad attaccare l’ospite indesiderato, mentre quella passiva prevede l’iniezione di anticorpi monoclonali che legano tale proteina con lo scopo di lavarla via dal cervello.

Altra classe di farmaci attualmente in sperimentazione, sono i BACE-inibitori, che bloccano l’azione di un enzima implicato nella formazione di Abeta. La proteina tau costituisce l’altro target terapeutico di recente interesse ma siamo ancora in fase molto iniziale di sperimentazione. E, parlando di farmaci sperimentali, occorre fare un po’ di chiarezza su questo termine. Un “farmaco sperimentale” è un farmaco che non è ancora entrato in commercio e che necessita di un processo di sperimentazione, regolato a livello internazionale, che può durare anni.  La sperimentazione di un farmaco attraversa quattro fasi distinte e solo al termine di questo percorso, se esso ha dimostrato di essere efficace, viene sottoposto all’autorità competente, che in Italia è l’AIFA, per la registrazione e l’autorizzazione alla commercializzazione.

Aducanumab, un anticorpo specifico contro la proteina tossica beta-amiloide (Abeta), sembra presentare ottime caratteristiche nel trattamento della Malattia di Alzheimer dopo il completamento della fase III ed è in attesa dell’autorizzazione. Anche se verrà autorizzato e commercializzato non tutti i pazienti potranno usufruire di tale farmaco perché il paziente a cui proporre l’uso di tale farmaco deve avere caratteristiche cliniche tali che sia presumibile un recupero funzionale certo. Stiamo parlando di cura della Demenza di Alzheimer, ma le forme di demenza sono moltissime e con caratteristiche diverse per cui la strada è ancora lunga, sebbene la luce in fondo al tunnel cominci a delinearsi. Una ricerca scientifica rigorosa e una buona determinazione a cercare sempre nuove promettenti strade, sono le armi migliori affinché si possa sperare in una cura capace di rendere la malattia guaribile.

Rubrica a cura di Gafa – Gruppo Assistenza Familiari Alzheimer, col contributo della dottoressa Vanda Menon e della dottoressa Manuela Costa