In Rete le mamme si scatenano sull’Ostetricia di Carpi

Dopo la denuncia della situazione nel Reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Ramazzini di Carpi il numero di commenti e di testimonianze che mamme - e non solo - hanno lasciato sulla pagina Facebook di Tempo dimostra l’esistenza di criticità e problemi.

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E’ critica la situazione nel Reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Ramazzini di Carpi, diretto dal Primario Paolo Accorsi: l’unità si è fortemente indebolita e il clima che vi si respira è sempre più teso. Numerosi e valenti specialisti se ne sono andati, il parto in analgesia non è assicurato h24, molte future mamme scelgono di far nascere i propri figli altrove e il futuro della Chirurgia ginecologica, un tempo centro di riferimento, è tutt’altro che scontato. A confermare criticità e problemi è il numero di commenti e di testimonianze che mamme – e non solo – hanno voluto lasciare sulla pagina Facebook di Tempo. C’è chi, come Chiara, denuncia di non essersi sentita accolta: “Io – scrive – abito a cinque minuti dal Ramazzini e ho scelto di partorire a Guastalla. Purtroppo ogni volta che ho dovuto rivolgermi al Reparto di Ginecologia di Carpi mi son sentita trascurata, trattata con superficialità o abbandonata. Non mi sentivo al sicuro a partorire lì”. Poi ci sono le donne che avrebbero voluto partorire senza dolore ma non hanno potuto farlo perché non vi era alcun anestesista disponibile: “L’epidurale non è assolutamente garantita 24/24. A me non l’hanno fatta proprio perché di notte non c’era l’anestesista”, scrive Gaia. E, ancora, aggiunge Dave, “A mia moglie avevano garantito la possibilità di fare l’epidurale, peccato che il giorno del parto l’anestesista fosse in ferie”. Un’altra politica del reparto che fa storcere il naso a molti è quella del parto naturale a tutti i costi: “Non solo non è garantita l’epidurale, ma neppure il parto cesareo… cercano di non farne e di far partorire la mamma da sola, senza aiuti, nonostante le difficoltà e le sofferenze”, scrive Fre. “Io ho partorito a Carpi e, dopo cinque giorni di induzioni, – aggiunge un’altra mamma – ero arrivata allo stremo delle forze… non auguro un parto del genere nemmeno alla mia peggior nemica”. Anche Alessia è del medesimo parere: “72 ore di induzione al parto, nessuna dilatazione per sentirmi dire: prova a spingere! Assurdo, da dove credevano uscisse?”. Certo, in condizioni di “normalità”, evitare la medicalizzazione del parto è certamente preferibile ma vi sono eccezioni, perché ogni caso è a sé stante e ogni donna vive un’esperienza differente.

Il parto naturale implica costi molto inferiori rispetto al cesareo ma non per questo si può rischiare di compromettere la salute di donne e nascituri: “Mio nipote ha rischiato di morire, hanno tardato a tal punto il parto naturale, rifiutandosi di fare il cesareo, che ha ingerito una quantità di liquido amniotico tale da scatenargli un’infezione polmonare. Risultato? 20 giorni attaccato a un respiratore al Policlinico di Modena”, scrive Filippo, mentre Francesca racconta come “Dopo 3 giorni di induzione e passato il termine massimo, febbre a 38, liquido nero, perso il battito di mia figlia… ancora non si erano decisi. Risultato? Taglio cesareo d’urgenza. Grazie Carpi, la prossima vado a Reggio Emilia”. Un’esperienza tremenda quella del cesareo d’urgenza vissuta il mese scorso anche da un’altra mamma. “Dopo 18 ore dalla rottura delle acque non mi dilatavo ma, nonostante questo, nessuno mi visitava nè, tantomeno, mi rassicurava. Stremata, e su sollecitazione dei miei famigliari e dopo mie infinite richieste di aiuto, mi hanno somministrato l’ossitocina ma il battito del mio bambino era scomparso e hanno dovuto procedere con un taglio d’urgenza. Mio figlio quando è nato non respirava ma, fortunatamente, tutto è andato per il meglio”. Attimi di terrore puro per chi, fuori dalla sala operatoria, attendeva notizie: “il Reparto di Ostetricia – racconta la nonna – era un’eccellenza del nostro Ospedale, tante donne venivano qui a partorire. Cos’è accaduto? Perché le partorienti vengono portate allo sfinimento prima di essere aiutate? Perché i medici si nascondono dietro ai protocolli? Ogni persona è diversa e quindi occorrono buon senso e flessibilità. Vedere come si è ridotto il reparto è un grande dolore. Qualcuno faccia qualcosa per salvare il salvabile ed evitare che tutto vada in frantumi”.

Jessica Bianchi