Donne che manipolano gli uomini e li spezzano

Quando si parla di violenza, spesso, nella nostra mente si rincorrono immagini di donne maltrattate. In realtà, la violenza non ha colore né, tantomeno, genere, e ve n’è una di cui raramente si parla: quella perpetrata dalle donne nei confronti degli uomini. Una violenza sotterranea, celata tra le mura domestiche e pronta a esplodere qualora il rapporto di coppia vada in frantumi. Tra le forme più diffuse vi è certamente quella psicologica, “non meno dannosa di quella fisica”, sottolinea l’avvocato civilista Rita Fontanesi.

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Macilente, zittite, brutalizzate… Quando si parla di violenza, spesso, nella nostra mente si rincorrono immagini di donne maltrattate. In realtà, la violenza non ha colore né, tantomeno, genere, e ve n’è una di cui raramente si parla: quella perpetrata dalle donne nei confronti dei propri compagni. Una violenza sotterranea, celata tra le mura domestiche e pronta a esplodere qualora il rapporto di coppia vada in frantumi. Un fenomeno di cui non si conosce la dimensione dal momento che nel nostro Paese non esistono indagini ufficiali in merito e perché, diciamolo pure, la strenua difesa dello stereotipo della virilità è per molti uomini un vero e proprio imperativo.
Tra le forme più diffuse di violenza di matrice femminile vi è certamente quella psicologica, “non meno dannosa di quella fisica anche se certamente meno evidente”, sottolinea l’avvocato Rita Fontanesi. “Alcune donne – prosegue – possono diventare estremamente crudeli, subdole, manipolatrici e per ottenere ciò che desiderano, in caso di separazione o divorzio, sono disposte a tutto, anche a strumentalizzare i propri figli”. Madri che esercitano “pressioni sui figli piccoli per allontanarli dal padre, convincendoli che lui non li ama o che non se ne prende cura abbastanza al solo scopo di ferire il compagno, senza rendersi conto, al contempo, di privare di fatto i figli della figura paterna”. Donne che minacciano i compagni di “portar loro via i figli, di condurli alla rovina o che esigono un mantenimento eccessivo rispetto allo stipendio percepito dall’uomo”, spiega Fontanesi. Situazioni drammatiche, spesso sommerse: “ci sono madri che, con sistematicità chirurgica, ogni qual volta il figlio deve incontrare il padre, inventano una scusa, un imprevisto, un escamotage per evitare che ciò accada, senza curarsi del dolore inflitto all’ex coniuge e delle conseguenze – e delle ferite – che tali comportamenti possono avere sui minori fino addirittura a portarli a vivere una dolorosa e insostenibile situazione di alienazione parentale”.
Il divorzio, si sa, può essere devastante e certamente duplica quasi tutte le spese abitative. Numerose le storie di padri finiti a mangiare alla Caritas o senza un tetto sulla testa anche se, ora, spiega l’avvocato Fontanesi, le “cose sono cambiate e la prassi consolidata, seppur non scritta, secondo cui in un’aula di tribunale le donne erano quasi sempre economicamente più tutelate in caso di conflitto coniugale, non è più così scontata. Un recente pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, di cui si è tanto parlato, ha infatti stabilito come l’assegno divorzile non debba essere più diretto, come in passato, ad assicurare al coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita goduto nel corso del matrimonio, bensì a garantire le primarie esigenze di vita con il più limitato intento perequativo di compensare l’investimento di risorse umane compiuto nel progetto matrimoniale dal coniuge richiedente l’assegno”.
Un orientamento maggiormente paritario teso a evitare situazioni oggi anacronistiche come quelle di “donne che ostinatamente pretendono di restare fuori dal circuito lavorativo per essere mantenute anche dopo la fine del matrimonio pur avendo capacità reddituali e lavorative inespresse” e volto a favorire  “percorsi di autonomia che ritengo sacrosanti e a cui noi donne dovremmo anzi tenere molto”, spiega Fontanesi. Un invito a “darsi da fare” che per alcune risuona come un boccone troppo amaro da ingoiare e che invece andrebbe inteso positivamente in termini di responsabilità e parità. “Si assiste purtroppo a un progressivo incattivimento delle donne e in alcuni casi sono disposte a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di ottenere ciò che vogliono. E sappiamo bene quanto noi donne possiamo essere taglienti e sottili, molto più dell’altra metà dal cielo”. Non sono mancati i casi in cui l’avvocato Fontanesi ha dovuto assistere a “false accuse di maltrattamento mosse nei confronti di clienti uomini”. Tra l’altro, dopo l’introduzione della nuova legge contro la violenza domestica, il cosiddetto Codice Rosso, entrato in vigore solo tre mesi fa e nato certamente con intenti meritori, si è moltiplicato il rischio di strumentalizzazioni facili. Alcune donne “ricorrono ai Servizi Sociali o alle Forze dell’Ordine per denunciare maltrattamenti che nella realtà non esistono, allo scopo di ottenere un vantaggio attraverso la demolizione della figura del compagno, trasformando una normale situazione di lite domestica in qualcosa di molto diverso. Stiamo chiaramente parlando di una minoranza di casi ma il problema c’è e gesti come questi, che non si risolvono certo in breve tempo e spesso hanno conseguenze giuridiche irreversibili, possono rovinare delle vite e creare lacerazioni psicologiche profonde e difficilmente rimediabili. Si creano peraltro situazioni di allontanamento o frequentazione protetta di un genitore, con costi notevoli anche a carico dell’intera collettività, che risultano francamente inaccettabili qualora non vi sia stato alcun abuso”.
In quanto donna e avvocato, Rita Fontanesi è la prima “di fronte a una denuncia di violenza a mostrare cautela e a voler capire se le accuse sono fondate” ma l’esperienza insegna a non fermarsi mai all’apparenza e, soprattutto, a quanto sia necessario provare a pensare fuori dagli schemi per non cadere in semplificazioni e stereotipi. “La volontà distruttiva di alcune donne si spinge persino a denunciare penalmente i compagni al primo mantenimento non versato, magari per difficoltà economiche oggettive, oppure addirittura ad accusarli di inesistenti reati anche gravi e procedibili d’ufficio. Ricordo un caso, anni fa, in cui una donna presentando una denuncia temeraria diretta al compagno rischiò di far finire in grane uno dei figli della coppia, all’epoca da poco maggiorenne. E ci vollero anni per rimediare. Quel padre alla fine, ristabilita la verità, dopo anni di processi, ottenne l’affidamento dei figli ma a quale prezzo?”.
Certo ci sono tante madri che non ricevendo l’assegno a cui avrebbero diritto per i figli sono lasciate sole ad arrangiarsi e ad affrontare con difficoltà le enormi spese connesse alla crescita di un bambino ma ve ne sono tante altre disposte a mettere in pericolo i propri figli con l’unico scopo di distruggere l’ex partner pur di ottenere qualcosa in più.
“Rivendicare la parità – conclude la civilista – significa pretendere il rispetto dei propri diritti e l’attuazione di correttivi che ripianino situazioni di effettivo svantaggio di genere ma, allo stesso tempo, rifiutare con forza trattamenti speciali e rinunciare a ricorrere a mezzi fraudolenti per ottenere un illecito vantaggio di genere all’interno del conflitto famigliare. In caso di situazioni particolarmente complesse, il ruolo degli avvocati è fondamentale per facilitare un accordo e smorzare gli animi. In queste materie, che toccano la carne viva delle persone, umanità e concretezza possono fare la differenza per stemperare la litigiosità e far ragionare il cliente su questioni che magari sottovaluta o non è in grado di vedere in quel momento tanto delicato della sua vita. Mi rendo conto che l’argomento non è scontato e che certi temi possono persino dare fastidio a qualcuna. Ma sono davvero convinta che una sana autocritica da parte delle donne sia indice di intelligenza e sensibilità, qualità in cui sappiamo eccellere, senza per questo sminuire la gravità della tanta e variegata violenza che siamo costrette spesso a subire noi”.
Jessica Bianchi

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