La violenza del branco e le responsabilità della comunità educante

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“Credevamo di morire”, così la carpigiana Rossella Setti ha commentato la brutale aggressione di cui è stata vittima insieme al fidanzato Mattia Polisena, nella notte di venerdì 19 aprile, in pieno centro storico. Un episodio gravissimo, che colpisce per la sua efferatezza ma, ancor di più, per la sua gratuità. Il branco, infatti, si è scagliato contro la coppia, per il mero gusto di farlo, per autocompiacimento, per ostentare e affermare la propria forza. Chissà, forse, per noia. “Non è stata una rapina, ci hanno pestato per puro piacere. Siamo stati bersagli casuali”, prosegue Rossella. Un atto violento e vigliacco: otto contro due. Il gigante contro Golia. Rossella ha resistito, con tutte le sue forze, ma erano troppi. Il gruppo ha continuato a infierire selvaggiamente sui due giovani “per 5, 10 interminabili minuti”, ha spiegato Rossella, anche mentre erano riversi a terra. Sanguinanti. Una furia cieca, ingiustificata, frutto di un disagio allarmante – e crescente – che obbliga ciascuno a una seria riflessione. Quali sono le radici di tale deriva? Dove abbiamo fallito? Quali sono le responsabilità della comunità educante?
Da qualche tempo in centro storico una “banda” di giovanissimi, composta da italiani e stranieri, semina il panico tra i coetanei, passando spesso dalle minacce alle maniere forti. Per contrastare atteggiamenti di questo tipo non basta rafforzare la presenza di telecamere, di cui, peraltro, questi giovani, si fanno beffe. Nemmeno il presidio delle Forze dell’Ordine è sufficiente. Il loro lavoro non basta.
Dopo il tramonto delle ideologie, delle religioni e delle passioni forti, in un Occidente secolarizzato e sempre più decadente, ai più giovani resta ben poco. Poche risposte, ancor meno certezze. Una crisi di senso con cui è difficile fare i conti. “Oggi più che mai – sottolinea il teologo carpigiano Brunetto Salvarani – le giovani generazioni faticano a trovare risposte: venuti dopo la fine dei Grandi Racconti, delle ideologie, i ragazzi hanno bisogno di dare un significato al fatto di essere al mondo. Non hanno bisogno di raccomandazioni o chiacchiere, bensì di testimonianza, di qualcuno che li spinga ad avere fiducia nella vita”.
Non è solo attraverso la deterrenza e la repressione che si può contrastare tale fenomeno. Occorrono buoni maestri, laddove le famiglie latitano. La violenza di questi ragazzi, ben noti alle Forze dell’Ordine, rappresenta il fallimento di una società intera, incapace di assumersi appieno la propria responsabilità educante. Ricucire questo strappo è prioritario.
Jessica Bianchi

 

 

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