Salgono a 4 le vittime del batterio killer Chimera in Emilia Romagna

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Sono quattro le vittime del batterio killer Chimera registrate a Reggio Emilia, dopo aver subito un intervento cardiochirurgico al Salus Hospital fra il 2011 e il giugno 2015, ma potrebbero non essere le sole.  “I cittadini – commenta il direttore sanitario dell’Ausl di Reggio Emilia, dottoressa Cristina Marchesi – possono tranquillamente sottoporsi agli interventi di cardiochirurgia di cui hanno bisogno. Le infezioni da Mycobacterium chimaera, infatti, sono eventi rarissimi nonché oggetto di studio a livello mondiale dal momento che il problema non è certo della nostra regione bensì internazionale”. Il micobatterio che, solitamente, aggiunge la dottoressa Marchesi, “vive nelle acque e nel terreno in modo assolutamente inoffensivo, negli ultimi tempi, ha causato infezioni molto gravi che possono portare fino alla
morte”.
I due casi registrati a Reggio Emilia, “su migliaia e migliaia di interventi – sottolinea il direttore sanitario – avevano in comune un pregresso intervento di cardiochirurgia e, quindi, ora è necessario approfondire le analisi epidemiologiche per capire se vi è una correlazione causa – effetto tra l’intervento e la successiva infezione”. Come ha dichiarato anche l’assessore regionale alla Sanità, Sergio Venturi, in questo momento “è in corso un’analisi e una revisione di tutte le cartelle cliniche per dimensionare il problema in modo corretto. Nel frattempo – assicura la dottoressa Marchesi – in via precauzionale quelle attrezzature sono state già sostituite”.
Una cosa è certa, quella dell’antibioticoresistenza sarà la vera sfida con la quale la sanità e la comunità scientifica dovranno misurarsi: “in futuro registreremo certamente il ritorno di alcune malattie infettive legato proprio al problema dell’antibioticoresistenza. Nel caso del Mycobacterium chimaera parliamo di un germe estremamente subdolo che si sviluppa in tempi molto lunghi, basti pensare che la sua incubazione descritta in letteratura può andare dai sei mesi ai sei anni. Anche l’isolamento a livello microbiologico del micobatterio è recente: fino a qualche anno fa, infatti, non se ne conosceva nemmeno l’esistenza. Insomma – conclude Marchesi – la materia è nuova e c’è ancora moltissimo da studiare su questo germe”.
A causa dei lunghi periodi di latenza del batterio, aggiunge Licia Petropulacos, direttrice generale Cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia Romagna, “l’infezione può svilupparsi persino dopo anni dall’intervento, rendendo così la diagnosi molto difficile; per questo ci preme informare tutte le persone che hanno subito interventi potenzialmente a rischio affinchè facciano molta attenzione e qualora dovessero presentare dei sintomi per periodi prolungati, devono tempestivamente informare i propri medici di famiglia affinché venga loro somministrata la giusta terapia”. Sui macchinari di riscaldamento extracorporeo finiti nell’occhio del ciclone poiché considerati il veicolo dell’infezione, la dottoressa Petropulacos è laconica: “pare si tratti di una contaminazione avvenuta nel momento della costruzione di tali apparecchiature perciò molto difficile da eradicare. Al momento comunque i macchinari sono stati sostituiti”.

Jessica Bianchi e Sara Gelli

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