Al Ramazzini di Carpi i combattenti curdi

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Da tre settimane sono ricoverati all’ospedale di Carpi i quattro giovani curdi, due uomini e due donne, feriti durante l’assedio della città di Kobane in territorio siriano al confine con la Turchia. L’assedio dell’Isis, iniziato nel settembre 2014, è stato dichiarato fallito nel gennaio 2015.
Resteranno qui per tre mesi per cercare di curare, per quanto possibile, le ferite riportate più di un anno e mezzo fa nei combattimenti: Alan che ha 30 anni è il più grave perché a causa di un’infezione è rimasto senza la maggior parte dell’intestino. Davanti a noi siede su una sedia a rotelle Layla, 37 anni, che sta seguendo un percorso di fisioterapia essendo rimasta paralizzata agli arti inferiori. Per ragioni di sicurezza non si possono far fotografare ma i loro occhi esprimono una profonda tristezza.
Sono al Ramazzini grazie a un ordine del giorno fortemente voluto da Sel e approvato all’unanimità dal Consiglio Comunale. La comunità curda dell’Emilia Romagna si è attivata per provvedere ai pasti e garantire sostegno ai quattro ragazzi ricoverati perché non parlano che curdo. Ci sono delegazioni di associazioni carpigiane che si recano in visita per rendersi disponibili a provvedere ai generi di prima necessità (in foto, le associazioni femminili di Udi e Cif insieme alla presidente della Consulta B Alessandra Guerrini e alla delegazione di Sel), ma è sicuramente il personale ospedaliero ad avere il carico maggiore di lavoro, considerando anche le gravi condizioni in cui versano i ragazzi curdi ricoverati.
Grazie alla presenza di un traduttore chiedono di non essere abbandonati perché a rischio è l’intera etnia dei curdi che temono di fare la stessa fine degli armeni dopo un secolo di durissima repressione. Puntano il dito contro Erdogan, bollandolo come autocrate, e chiedono di non abbassare lo sguardo sui massacri che avvengono ogni giorno nelle città curde. “Da voi manca del tutto l’informazione su questo. I governi dell’Unione Europea che sembrano compiacere il governo turco, non abbandonino noi curdi”.
Sara Gelli

 

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