“La nostra Africa”

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“Ascoltare le storie e vedere le immagini di quei bambini in condizioni difficilissime, bisognosi di tutto, non può lasciare indifferenti. Si sente il bisogno di fare qualcosa per loro. Di darsi da fare”: spiega così, Adriano Di Sessa, le motivazioni del suo impegno volontario in favore dell’associazione Centro Aiuti per l’Etiopia (Cae), che sta portando avanti insieme alla moglie Marianna, educatrice in un asilo, con la quale ricopre l’incarico di referente provinciale per la Onlus. “Siamo da sempre innamorati dell’Africa – spiega Adriano, trentasettenne carpigiano rivenditore di macchine da cucire – ma in realtà ci siamo avvicinati a questa bella realtà tramite il percorso dell’adozione internazionale.
Cinque anni fa iniziammo le pratiche e nel 2014 demmo mandato al Cae per aiutarci a ottenere l’adozione”. A gennaio 2016 finalmente il loro sogno si è avverato e Adriano e Marianna diventeranno presto genitori del piccolo Adonias, di due anni. “Abbiamo avuto contatti con varie associazioni – continua – e il modo di fare e lo spirito del Cae ci hanno catturati. Si tratta di una grande famiglia, in cui ogni aiuto viene destinato alle persone del posto, costruendo scuole, pozzi, fornendo assistenza sanitaria e alimentare”.
Fondato nel 1983 da Roberto Rabattoni, imprenditore novarese anch’egli genitore adottivo che vive stabilmente nel paese del Corno d’Africa, il Cae sta ora cercando di fronteggiare un’emergenza umanitaria che rischia di trasformarsi in una tragedia senza precedenti: da mesi infatti, in molte zone d’Etiopia – dai confini con il Sud Sudan a quelli con il Sudan, dalle aree verso il Kenia a sud, a quelle verso l’Eritrea e Somalia a est – non piove e questo ha causato mancanza d’acqua e, di conseguenza, di cibo, perché non ci sono raccolti e il bestiame muore.
Le stime parlano di almeno 10 milioni di persone a rischio di grave malnutrizione e in questo dramma i soggetti maggiormente a rischio sono i bambini, 400mila dei quali potrebbero essere coinvolti nella peggiore carestia degli ultimi trent’anni. Il Cae gestisce centri di accoglienza ad Areka, in Wolaita, e a Gimbi, ha costruito un ospedale a Soddo e un altro ad Abigrath. Le donazioni sono utilizzate per comprare generi di prima necessità, poi  consegnati nei villaggi e nelle zone in maggiore emergenza. I costi di gestione – l’attività dell’associazione è scrupolosamente documentata – hanno un’incidenza minima: solo il 2,4% di ogni euro donato. “Anche l’adozione a distanza è un’importante modalità di aiuto. Con 15 euro mensili si può dare sostentamento a un bambino, garantirgli un’istruzione e le cure sanitarie. Non ci siamo ancora recati in Etiopia ma lo faremo presto quando andremo a conoscere nostro figlio. Certo, i problemi sono enormi, lo sappiamo bene e lo sforzo del singolo è una goccia nel mare. Ma tante gocce, unite, possono aiutare, concretamente a migliorare la terribile situazione di tanti bimbi e a concedere loro una possibilità. Un futuro. In definitiva, provare a fare qualcosa è meglio che starsene con le mani in mano senza far nulla”.
Marcello Marchesini

 

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