Giornalisti da Oscar

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Il caso Spotlight diretto da Tom McCarthy ha vinto il premio Oscar come miglior film. La pellicola è stata presentata, fuori concorso, in anteprima mondiale il 3 settembre scorso alla 72° Mostra di Venezia. Un film certamente importante e di molto coraggio: importante perché la denuncia che contiene è tremendamente vera, coraggioso perché in qualche modo sfida un silenzio che spesso grava sulle vicende che coinvolgono le chiese e, in particolare, quella cattolica.
La violenza sessuale su bambini e adolescenti è un soggetto difficile, il regista opta per una costruzione diligentemente modellata dal più collaudato classicismo, a volte didascalica, ma impeccabile. Grandi attori, ottime interpretazioni, montaggio dal ritmo avvincente, sono modalità perfette, forse consuete, che però ammantano il racconto di atmosfere tipiche del thriller. Ottima la sceneggiatura, premiata con un secondo Oscar, ma la regia non ricerca innovazioni o invenzioni particolarmente affascinati. Sarà che il film sconta un precedente molto bello: quel Tutti gli uomini del presidente che fece esplodere il caso Watergate e spinse alle dimissioni il presidente Nixon. McCarthy sembra puntare tutto sul valore oggettivo del contenuto della storia, della tematica affrontata, peraltro più che sufficienti a mantenere lo spettatore incollato alla sedia. Perché il materiale indubbiamente scotta. Così come dovevano essere bollenti le intenzioni che nel 2001 spingono Marty Baron (interpretato da Liev Schreiber), neo direttore del Boston Globe, e Ben Bradlee Jr. (col volto di John Slattery), a indagare su un caso di pedofilia che riguarda un prete cattolico, caparbiamente nascosto da un importante cardinale. A mano a mano che l’indagine procede, quel che sembrava un singolo caso, si espande e coinvolge molti altri sacerdoti e ancor più numerose giovani vittime. Si rende quindi necessario formare una squadra composta da altri quattro giornalisti: Walter Robinson, Mike Rezendes, Sacha Pfeiffer e Matt Carroll cui prestano i loro corpi rispettivamente Michael Keaton, l’ottimo Mark Ruffalo, Rachel McAdams e Brian D’Arcy James. Il gruppo, denominato appunto “Spotlight” perché incaricato di fare luce sui casi difficili agisce con determinazione, non si lascia scoraggiare, rischia anche molto e non solo l’insuccesso di fronte alle scontate omertà. La svolta decisiva avviene quando un avvocato difensore di una delle vittime accetta di collaborare. L’indagine subisce inaspettatamente una brusca interruzione a causa dell’attacco alle torri gemelle l’11 settembre, ma poi testardamente viene ripresa e nell’arco di due anni emergono le responsabilità di una settantina di sacerdoti. L’eco suscitata è enorme e l’inchiesta conquista il Premio Pulitzer nel 2003.
Il film è un sincero omaggio a una stampa che non ha paura di mettersi contro il potere, qualsiasi potere. L’Oscar, indirettamente, sembra premiare proprio quel giornalismo e risarcire in parte il dolore delle vittime, le loro esitanti e sofferte testimonianze. Costituisce un indubbio incoraggiamento a chi ancora tace per pudore o vergogna. Infine sollecita la Chiesa ad affrontare oggi il problema senza più indugi o reticenze, perché la pedofilia non è un fatto solo del passato.
Ma restando in ambito strettamente cinematografico, vorrei segnalare un altro film in uscita proprio in questi giorni, che affronta lo stesso tema, e lo fa da angolazioni completamente diverse. Siamo in una località imprecisata della costa cilena sul Pacifico. In una casa con vista sull’oceano vivono la loro espiazione quattro ex sacerdoti variamente accusati di abusi sessuali, governati da una suora che asseconda una vita di nuovo fuori dalle regole loro imposte. Tutto precipita quando al quartetto si aggiunge un nuovo arrivato che, smascherato da una sua vittima, non regge la situazione e si suicida. Il regista cileno Pablo Larrain con il suo Il club, realizza un film dalle atmosfere nebbiose, dal sonoro faticoso, con momenti molto duri, contrapponendo ai vecchi sacerdoti, un prete giovane e prestante, il volto duro e pulito della nuova chiesa. Una sfida aperta, dall’esito incerto ma che spinge alla riflessione, al dubbio, a domande ancora in cerca di risposte.
Ivan Andreoli

 

 

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