Un’altra scuola è possibile

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Per realizzare l’inclusione per tutti, non sono gli alunni a doversi adattare alla scuola, bensì è la scuola che deve adattarsi agli studenti e ai loro bisogni reali. E’ questo il principio di base che ispira due scuole innovative rivolte a bambini e ragazzi con disabilità, ma non solo: La Lucciola a Ravarino di Modena e O Pelouro nella regione spagnola della Galizia, dove spazi, tempi e strumenti educativi vengono completamente ripensati in funzione delle diversità. La 24enne carpigiana Maddalena Po con la sua tesi di Laurea in Scienze dell’Educazione dal titolo La diversità come risorsa ha affrontato il tema dell’integrazione del bambino con difficoltà motorie e/o psichiche, proponendo un interessante confronto tra questi due centri che favoriscono lo sviluppo delle inclinazioni espressive e cognitive individuali.
Che tipo di scuola è la Lucciola?
“E’ una scuola speciale che ho potuto conoscere da vicino durante il mio periodo di tirocinio. Innanzitutto la struttura che la ospita è circondata da un bel parco abitato da animali da fattoria e ho potuto constatare personalmente il ruolo fondamentale che ricopre il contatto con la natura per lo sviluppo di ogni bambino, indipendentemente dal fatto che presenti delle patologie specifiche.  Tra gli obiettivi del centro vi sono quelli di spronare il bambino al raggiungimento della propria autonomia, all’interno di un ambiente protetto e sicuro in cui poter sperimentare liberamente.  Anche la musica, le attività grafico-pittoriche e i laboratori artigianali trovano ampio spazio nel loro programma educativo, che guarda favorevolmente anche al modello di O Pelouro”.
In cosa consiste il metodo della scuola spagnola?
“E’ un centro di educazione integrata che si fonda sui principi pedagogici: educare nella diversità e la conoscenza come desiderio. Accoglie bambini dalla prima infanzia fino ai 18 anni e una buona parte di questi presentano disturbi mentali o fisici. La vera innovazione risiede proprio nella perfetta integrazione di tutti i bimbi, e nell’arricchimento reciproco. I bambini che vivono con compagni disabili elaborano una maggiore maturità sul piano emotivo e cognitivo. Per i piccoli disabili, viceversa, stare con i compagni “normali”, aumenta la voglia di fare, di imitare, di emulare e, quindi, di imparare. E’ completamente immersa nel verde, circondata da alberi e da un grosso lago sulla cui riva si svolgono spesso le lezioni. Infatti, non esistono cattedre e banchi allineati. Non ci sono maestri, ma operatori che hanno il ruolo di mediatori, ovvero di guidare e incoraggiare il bambino nel raggiungimento degli obiettivi senza prevaricarlo. Non esistono materie, programmi prestabiliti o routine preventivamente scandite e, nonostante ciò, i bambini sono esattamente al passo con quelli che frequentano le scuole tradizionali, perché alla base c’è una grandissima attenzione verso le loro singole esigenze.  Tutti gli alunni hanno le stesse opportunità di esprimersi, conoscere gli altri e loro stessi in un ambiente in cui si educa a riconoscere e convivere con le diversità, rafforzando l’autostima e contrastando i pregiudizi, stimolando tutti a far emergere le proprie potenzialità”.
Come sei venuta a conoscenza di questo istituto all’avanguardia?
“Ho studiato sei mesi all’Università di Valencia tramite il programma di mobilità studentesca Erasmus. E’ stata un’esperienza molto positiva che mi ha permesso, tra le altre cose, di scoprire questa realtà, purtroppo non direttamente, ma tramite i racconti dei professori. Grazie ai testi e ai documenti che mi hanno fornito ho potuto approfondire il loro modello educativo e in seguito scrivere la mia tesi. E’ un esempio straordinario che suscita consensi in tutto il mondo, ma anche gli spagnoli ammirano molto i metodi educativi italiani e, in particolare, il cosiddetto Reggio Approach. Si tratta di una filosofia pedagogica nata nelle scuole e nei nidi d’Infanzia di Reggio Emilia: offre  al bambino la possibilità di esprimere la propria creatività utilizzando materiali, linguaggi e punti di vista differenti. Secondo il Reggio Approach il bambino possiede cento linguaggi e può svilupparli attraverso molteplici modalità: per esempio in atelier con un insegnante che abbia competenze di natura artistica”.
Il tuo futuro è in Italia o all’estero?
“Ancora non ho certezze per l’avvenire. Nutro una grande passione per i bambini, in particolare per quelli che io definisco speciali, ma sinora in Italia non ho trovato niente che soddisfi appieno quello che vorrei fare per tutta la vita. Vorrei lavorare in un centro come O Pelouro, oppure aprirne uno mio, e orienterò le mie scelte future in tal senso”.
Chiara Sorrentino

 

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