A telefonare ai Carabinieri lunedì mattina è stato proprio Francesco Grieco: alle 7.30, dopo essersi svegliato, ha trovato – questo il suo racconto iniziale – senza vita le due donne e ha dato l’allarme. Ma non c’erano segni di effrazione e tutto era in perfetto ordine. Dopo un interrogatorio durato diverse ore, il 53enne è crollato ammettendo di essere stato lui a uccidere la moglie di 52 anni, Francesca Marchi, insegnante in una scuola d’infanzia di Carpi e la suocera Irene Tabarroni, 92 anni, nella villetta dove tutti abitavano a Gorghetto di Bomporto.
Grieco, ex guardia giurata, avrebbe ucciso la moglie sabato pomeriggio per soffocamento prima con le mani e poi con un asciugamano. Poi, il giorno successivo, è toccato alla suocera Irene, che dalla sua camera continuava a chiedere dove fosse la figlia: l’anziana sarebbe stata uccisa con colpi di martello in testa dopo un tentativo di soffocamento fallito.
L’uomo, dopo la confessione, avrebbe riferito di aver agito in preda a un raptus, senza un motivo preciso, in un periodo difficile segnato anche da difficoltà lavorative. “Ho ucciso l’amore della mia vita – avrebbe detto riferendosi alla moglie – il nostro matrimonio andava bene”. Grieco, agli inquirenti, avrebbe riferito anche di aver voluto uccidersi dopo aver ammazzato moglie e suocera, senza però aver trovato il coraggio per farlo. E di aver tentato di rianimare la moglie. Tra i residenti della frazione di Gorghetto di Bomporto prevale l’atteggiamento di condanna e le amiche della signora Irene riferiscono che pur facendo da badante alla donna, “lei diceva che non meritava sua figlia e che era burbero”. Franco Marchi, fratello di Francesca, ha riferito alla stampa di “non sapere nulla della sua depressione. Certo andava a letto tardi e si alzava tardi. Si dava da fare e aiutava in casa, ma il suo ruolo era di solito quello di preparare pranzo e cena. Mia sorella aiutava mia madre ad alzarsi di mattina e a vestirsi. Per il resto mia madre era un’anziana perfettamente autosufficiente. Camminava, lavava, stirava, sbrigava le faccende e non era relegata a letto”.
L’incontro con lo psichiatra dottor Rubes Bonatti, direttore dell’Unità operativa complessa di Salute Mentale Modena Nord, avviene nel suo studio ispirato alla concezione della Wunderkammere, in cui la grande meraviglia è il cavallo, in tutte le sue declinazioni. “Agli inizi del Novecento, studiando le caratteristiche della personalità in rapporto alle dimensioni somatiche dell’individuo, Kretschmer distinse gli schizotimici, con una prevalenza dei diametri longitudinali, dai ciclotimici picnici, nei quali si riscontrava una prevalenza dei diametri trasversali. I primi, alti e magri, sarebbero caratterizzati da una chiusura rispetto al mondo esterno, scarsa socievolezza e ricca vita interiore; ai picnici, bassi e tarchiati, corrisponderebbe un andamento ciclico dell’umore, con alternanza di periodi di allegria quasi maniacale e periodi di depressione, grande socievolezza, superficialità nei rapporti e sentimentalismo. Molti di loro hanno un disturbo psicotico di tipo paranoide che non invade tutta la personalità: soffrono spesso di un delirio persecutorio che a volte si svela, a volte no. E’ superfluo dire che questa teoria oggi ha solo un interesse storico come l’illusione Lombrosiana di definire le personalità criminali a partire dai tratti somatici”. Il dottor Bonatti spiega che l’accertamento dell’incapacità di intendere e volere “non deve rappresentare un’attenuante rispetto alla gravità del fatto commesso” perché la legge è uguale per tutti e se è prevista la reclusione in carcere così dovrebbe essere anche per i pazienti psichiatrici garantendo loro adeguati spazi e cure. Così oggi in Italia non è a differenza di altre nazioni europee. Raptus? “E’ un termine, maschile, di cui si abusa troppo spesso. E’ la perdita momentanea della capacità di critica al punto che viene messo in atto un agito di tipo impulsivo. E’ il caso del figlio, in un recente fatto di cronaca, che sta giocando alla play station quando viene interrotto dal padre e reagisce accoltellandolo alla gola. Il raptus può verificarsi in persone che hanno disturbi di tipo schizofrenico, paranoide e gravi patologie dell’affettività come depressione maggiore, mania e disturbo bipolare, è solitamente un’evenienza acuta rara di breve durata della quale il soggetto conserva una memoria parziale o alterata. Molto più spesso oggi riscontriamo agiti di tipo violento sotto l’effetto di alcol e droghe: non abbiamo più solo pazienti di tipo psichiatrico ma soggetti che consumano anche cannabinoidi, oppiacei e alcol in un contesto di mutate condizioni generali in cui le famiglie sono sempre più disunite e le condizioni economiche preoccupano dopo un terremoto che ha lasciato uno strascico di problemi”. Per il dottor Bonatti, la sequenza di delitti commessi a distanza di tempo l’uno dall’altro non corrisponde a quella del raptus e, dopo la commissione dei delitti, rimane, da parte del soggetto, la capacità di costruire una storia falsa da raccontare ai Carabinieri come alibi; anche la modalità di uccidere, strangolando una persona e assassinandone un’altra a martellate dopo averne tentato il soffocamento, presuppone grande lucidità. “La perdita del lavoro e l’assistenza di una persona anziana in un contesto di coppia senza figli possono ingenerare una perdita grave della propria identità. E chi la perde reagisce in tanti modi. A cinquant’anni si attraversa la middle age crisis: è un’epoca di bilanci arrivando magari alla conclusione del fallimento delle proprie aspettative. Momento estremamente problematico in cui potrebbe svelarsi quella parte rimasta sino ad allora chiusa nelle fantasie e nei sogni e sfociare in agiti delittuosi. Il costrutto delirante, logico, lucido è una falsata interpretazione della realtà e regge finchè c’è la facciata che tiene. Si può uccidere in conseguenza di un lucido delirio nell’ambito di una patologia psichiatrica grave: le cose vanno sempre approfondite. Ma chi uccide, paga”.
Sara Gelli