“Questa è casa mia”

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“A casa”: così si sente, a Carpi, Naveed Mohammad. Ventotto anni, sposato e residente in città con la sua famiglia, è originario di Sialkot, provincia del Pakistan situata nel nord est del Paese. Un importante distretto industriale che si regge su piccoli-medi imprenditori specializzati nella produzione di strumenti odontoiatrici e chirurgici, strumenti musicali, pelletteria e articoli sportivi. Dalla sua terra natale proviene il pallone utilizzato per gli ultimi Mondiali di calcio. Arrivato in Italia nel 2001 per ricongiungersi al padre, Naveed ama la tecnologia e le innovazioni, soprattutto in ambito medico e astronomico. “Vivo in Italia da molto tempo ormai – risponde quando gli chiediamo cosa gli manchi di più della sua terra d’origine – qui ho i miei amici e mi sento a casa. In Pakistan  ci sono i miei nonni e altri parenti, quindi ogni tanto torno a far loro visita, ma sentendomi sempre più un turista”. Sui rapporti tra stranieri e italiani e tra le varie comunità, Naveed sottolinea come si tratti di due situazioni molto diverse: “nel primo caso, pur essendoci ancora molte difficoltà, i rapporti stanno migliorando, c’è più apertura da entrambe le parti e non mancano esempi di consolidate realtà di integrazione e convivenza amichevole. Il secondo caso è invece più complesso: le varie etnie pur avendo problemi simili non si conoscono. La barriera linguistica sicuramente è l’ostacolo più forte perché, dovendo comunicare in italiano, entrambe le parti hanno delle lacune. Credo però che, con le seconde generazioni, questa difficoltà verrà superata e potremo assistere a un’integrazione nell’integrazione. Quando questo avverrà potremo dire di vivere in una vera società multietnica”. C’è chi pensa agli stranieri come a delle potenziali minacce, sia dal punto di vista della sicurezza personale che di quella occupazionale, paventando una sorta di invasione dalle conseguenze nefaste. Quando però ci si distacca dalle paure – e dalla propaganda –  per conoscere le storie dei singoli, quando alla figura dello Straniero si sostituiscono i volti, le biografie e i pensieri delle persone, allora la prospettiva può cambiare, anche radicalmente. Naveed, per esempio, ha scelto di svolgere attività di volontariato presso la Croce Rossa. “Il merito di questa decisione è dei miei genitori, i quali mi hanno sempre  spronato a fare qualcosa di utile per la società, impegno che è anche fonte di una grande soddisfazione personale: sin da piccolo ero abituato a non essere indifferente alla realtà circostante. L’avventura in Croce Rossa trova le sue radici in un incontro di presentazione dell’Avis a scuola, nel corso del quale ci spiegarono i compiti e il funzionamento dell’associazione. Favorevolmente colpito, decisi di diventarne volontario, ma all’epoca abitavo a Novi e prendevo l’autobus per venire a scuola a Carpi, quindi non avevo la possibilità di partecipare attivamente. Dopo il diploma iniziai a lavorare, cambiarono i ritmi e gli orari ed ebbi sempre meno tempo libero, anche se il pensiero era sempre rivolto al volontariato. Passò qualche anno e, avendo un collega di lavoro volontario in Croce Rossa, cinque anni fa andai a informarmi e, dopo aver frequentato il corso per diventare volontario soccorritore, da quasi quattro anni sono volontario attivo”. Ma la voglia di impegnarsi di Naveed non si limita a questo: “sto cercando di coinvolgere più persone possibili nel miglioramento della loro conoscenza della lingua e della cultura italiane e, successivamente, l’auspicio è quello di coinvolgere i giovani stranieri, tramite l’associazionismo, in progetti utili alla comunità”. Per quanto riguarda la convivenza tra italiani e stranieri, Naveed non nasconde che ci sia ancora tanto lavoro da fare: “l’elemento centrale è la differenza culturale che, purtroppo, invece di essere considerata un’opportunità, viene vissuta come un problema. Per superarlo bisogna rompere il guscio della paura che ci siamo costruiti attorno, solo così potremo conoscere meglio il prossimo e convivere con rispetto e serenità. Quando si ha la mentalità aperta e la curiosità di conoscere le meraviglie altrui, allora le paure diventano sfide e le differenze occasioni”. D’altro canto, continua, “la ricchezza culturale è un elemento positivo, che ‘noi italiani’ dovremmo apprezzare più di chiunque altro. Ma non si tratta solo di questo. Si pensi alla ricchezza economica, a quanto capitale è generato dai lavoratori dipendenti e piccoli imprenditori immigrati, per non parlare di tutti quei lavori che gli italiani non vogliono più fare e sono eseguiti esclusivamente da stranieri. Se non ci fossero le badanti chi si prenderebbe cura degli anziani italiani? E’ grazie al contributo di numerosi stranieri che si riesce a garantire la produzione delle eccellenze italiane, dalle arance siciliane al Grana dop, dai prodotti agricoli a km zero alle produzioni metalmeccaniche, in ogni settore ci sono lavoratori stranieri impegnati al fianco di quelli italiani per far sì che il made in Italy rimanga in Italia”. Importante per il futuro dell’integrazione, sarà poi il tema delle seconde generazioni, ovvero i figli di stranieri nati qui, e della possibilità, per loro, di poter ottenere la cittadinanza: “sono confusi sulla loro identità. Si devono considerare italiani o stranieri? Ma come possono non essere italiani quando sono nati in Italia, crescono, vivono e hanno amici in questo Paese? Come si può poi pretendere che pensino all’Italia come alla loro patria quando devono crescere sentendosi diversi dai propri compagni di scuola, come si può pensare che si impegneranno per migliorare l’immagine del Paese nel mondo, come si può pretendere che si sentano ‘fieri’ di un Paese che non li accoglie in pieno, anche se ci sono nati? Mi viene da pensare che, forse, sono gli italiani a essere confusi dalla presenza di questi ‘stranieri’ nati nella loro stessa terra”.
Marcello Marchesini
 

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