“I conti con la storia non sempre tornano”

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“Per avere delle convinzioni salde e veritiere ci si dovrebbe affidare alla tecnica del 99%. Cento è una cifra della quale, chi ha a cuore la verità, dovrebbe diffidare”. Questo il consiglio che lo storico e giornalista Paolo Mieli, intervistato dal caporedattore di Radio Bruno, Pierluigi Senatore, ha rivolto agli spettatori che, venerdì scorso, hanno riempito Sala dei Mori  (e l’Auditorium Loria in video conferenza) per assistere alla presentazione del suo saggio I conti con la storia, in occasione della rassegna I libri di San Rocco. “A scrivere la storia sono i vincitori, perciò spesso studiamo una storia che attribuisce loro tutte le ragioni – ha proseguito Mieli – ma credo possa essere utile comprendere quali siano le proprie convinzioni per poi cercare, nel presente e nel passato, ciò che le mette in discussione”. Così facendo si otterranno, secondo Mieli, due risultati: “ciò che rimane in piedi sarà più solido e si faranno nuove scoperte. A raccontarci sempre la stessa storia, con i buoni da un lato e i cattivi dall’altro, le convinzioni finiscono inevitabilmente per affievolirsi, come è successo alla passione civile e politica nel nostro Paese, perché ci si è dimenticati che le vere passioni sono fatte di conflitti e contraddizioni e che i conti con la storia non sempre tornano”. Tesi centrale del libro dell’allievo di Renzo De Felice è che la storia sia in realtà un complesso e inestricabile intreccio di memoria e oblio. Della necessità dell’oblio in alcuni frangenti si trova traccia non solo nelle tante vicende esaminate nel saggio, ma anche nei testi più importanti della cultura Occidentale, come l’Odissea o la Divina Commedia. Nel presente, poi, il gioco di rapporti tra memoria e dimenticanza diviene, per così dire, quasi una scelta obbligata: “soprattutto ora, in un tempo in cui la memoria trova spazio nei supporti elettronici e nella rete, il campo di informazioni dal quale ognuno di noi può attingere è talmente vasto che quel che chiamiamo memoria è inevitabilmente la scelta univoca di ciò che abbiamo deciso di prendere dal passato per farne una bandiera”. E se, sul piano politico, questo atteggiamento è legittimo, la disciplina storica dovrebbe invece cominciare laddove termina l’uso militante del passato. Certo studiando la storia, si rileva una certa ciclicità: “quando termina un’epoca vi sono costantemente periodi di oscillazione e anarchia, alla fine dei quali emerge, spesso, una personalità nuova”. Ma gli ‘schemi fissi’ della storia non finiscono qui: “alla fine di un ventennio, nel nostro Paese non si trova mai nessuno che abbia fatto parte di quello precedente. E’ stato così con il fascismo e, credetemi, sarà così anche per Berlusconi”. La cosa peggiore che si possa fare quando termina un periodo storico è, secondo Mieli, portare l’eredità del ciclo appena concluso in quello nuovo senza aver fatto chiarezza.“2.500 anni di storia dimostrano che non esiste una sola volta in cui il fantasma del passato si sia riprodotto nel ciclo successivo. Successe così con Mussolini, che molti inizialmente sottovalutarono perché troppo impegnati a paragonarlo a Giolitti, la bestia nera del ventennio precedente, o con Berlusconi che spuntò in modo imprevedibile quando tutti, agli albori della Seconda Repubblica, paventavano un ritorno di Craxi, Andreotti e Forlani”. Attenzione quindi a non perdere di vista le dinamiche e le novità del presente perché troppo abituati a ragionare secondo schemi e paure del passato. “In ogni caso – ha chiosato Mieli – il vero inizio del fenomeno Matteo Renzi ci sarà solo con le elezioni e l’eventuale scelta da parte del popolo sovrano. Cosa che, sinora, non è avvenuta”. Prossimi appuntamenti della rassegna, venerdì 11 aprile in Sala dei Mori con il fotografo Oliviero Toscani e domenica 13 aprile alle ore 21 all’Auditorium Loria con Valerio Massimo Manfredi.

 

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