Tutti i volti dell’amore

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C’era molta attesa per l’ultimo film di Abdellatif Kechiche, premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes, soprattutto per le polemiche che, a posteriori, sono scoppiate tra le attrici e il regista, accusato di essersi comportato in modo troppo autoritario durante le riprese. La vita di Adele – che ha forse il solo difetto di durare un po’ troppo – è una grande e struggente storia d’amore, che vive una ragazza a partire dai suoi diciassette anni appena fuori dai banchi del liceo. Adele ama la letteratura, partecipa alle manifestazioni studentesche, sa che da grande vuol diventare una maestra, è inserita nella classe, ma ha uno stuolo di compagne piuttosto pettegole e impiccione che la spingono tra le braccia di un ragazzo che è sinceramente innamorato di lei, ma dal quale non si era mai interessata. Ma la vita di Adele guarda più lontano, ancora si dibatte tra i tipici conflitti adolescenziali, fatti di insicurezze, indecisioni e incertezze sulle proprie scelte e necessità. Capita così, che un giorno, camminando per strada incrocia due ragazze abbracciate, una delle quali la colpisce particolarmente per i suoi capelli blu. Adele, sempre più infastidita dalle amiche si rifugia nella compagnia affettuosa e disinteressata di un amico omosessuale, col quale una sera finisce in un bar frequentato da gay e lesbiche, dove Adele incontra nuovamente Emma, la ragazza coi capelli blu. Concordano il loro primo appuntamento che avviene su una panchina blu sotto un albero tutto rosa di fiori. Ed è sotto i due colori che simboleggiano per eccellenza il maschile e il femminile che la loro storia inizia. Il film è liberamente tratto dalla graphic-novel di Julie Maroch Il blu è un colore caldo, uscito anche in Italia, edito da Rizzoli Lizard, e i colori rosa e blu compariranno ancora, a sottolineare il valore estetico e simbolico della rappresentazione. La prima parte, o meglio il primo capitolo, è davvero molto bello perché è un ritratto veritiero e realistico dell’adolescenza. Proprio in questi giorni abbiamo letto la cronaca di un altro suicidio di un ragazzo gay (anche se non più adolescente) che si è buttato dal balcone poiché impossibilitato a vivere la sua condizione nella società omofoba che evidentemente lo circondava. Ed è davvero una cosa sconvolgente e tristissima che dovrebbe indurre le istituzioni politiche ma anche religiose e sociali a reagire energicamente per operare quella trasformazione culturale indispensabile a garantire la serenità e la libertà di tutti. Nel secondo capitolo le due ragazze vivono – e convivono – la loro storia d’amore raccontata e mostrata nei dettagli quasi in tempo reale. Ed è qui che quella cultura omofoba e perbenista si manifesta anche in sala con risolini e chiacchiericcio sulle lunghe scene di sesso che il regista opportunamente impone, proprio per affermare che l’amore è amore, desiderio, passione, fisicità, per tutti, indistintamente. Le cose poi si complicano e il rapporto tra le due subisce rotture e nuovi incontri, perché nulla le distingue dalle altre storie. Quelle cosiddette ”normali”. E in questi frangenti i comportamenti possono essere e diventare, per tutti, estremamente aggressivi. Penso che il merito maggiore del film sia quello di raccontare una storia d’amore indipendentemente dall’identità dei soggetti coinvolti, senza prescindere dalle particolarità che la condizione omosessuale comporta e distingue. Infine una considerazione sul verdetto di Cannes, molto positiva in relazione ai valori di libertà e contestazione contenuti nel film, ma forse un po’ eccessivo per l’opera in sé, che avrebbe forse guadagnato maggiore fluidità ed efficacia se non si fosse protratta per 179 lunghissimi minuti.
Ivan Andreoli

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