La nemica silenziosa delle donne in attesa

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Non ho mai percepito la gravità della situazione e solo a distanza di mesi, venendo a conoscenza di casi più sfortunati del mio, mi sono resa conto dei rischi gravissimi che ho corso”. Parte da questa affermazione la testimonianza di Francesca, oggi mamma di un bellissimo bambino che fra poco avrà due anni. Il pensiero di avere un secondo figlio è funestato dal ricordo di ciò che è successo: il rischio di recidiva della gestosi è molto alto e questo comporterà stretti controlli sin dall’inizio.
Per evitare danni anche seri, per la mamma e il bambino, è fondamentale diagnosticarla per tempo, eppure sono poche le informazioni che vengono date e la gestosi o pre-eclampsia rimane un tabù di cui i medici parlano poco e malvolentieri, “per non allarmare” dicono.
La gravidanza di Francesca inizia come tante nella convinzione che sarà uno dei periodi più belli della vita ma poi, progressivamente, cambia aspetto.
Marzo
Agli inizi di marzo Francesca si accorge di avere le gambe gonfie, ma è solo alla fine del mese, in occasione dell’ecografia morfologica della ventesima settimana, che emergono i primi segnali. “Si sono resi conto – ricorda Francesca – che c’era un problema di flusso nella vena cava inferiore”. Tutto nella norma fino a quando “ho iniziato ad aumentare di peso e di volume e ho percepito che qualcosa non andava”. Una veloce consultazione di Internet è bastata a Francesca per sospettare che i suoi fossero i sintomi della gestosi, ma il pensiero è stato presto ricacciato, “perchè ho pensato che fosse tutto nella norma”.
Aprile
L’aumento di peso superiore alla media e la pressione un po’ alta hanno però insospettito la sua ginecologa che, in occasione della visita agli inizi di aprile, ha consigliato a Francesca di effettuare ogni due giorni l’esame della pressione.
Il 15 aprile, durante l’esame della pressione in farmacia, la minima supera i 90 e Francesca si reca all’Ospedale di Carpi così come la ginecologa le aveva indicato. “Al Ramazzini i medici preferiscono tenere monitorata la situazione sottoponendomi a ecodoppler, esame della pressione ogni due ore, tracciato e esame delle proteine nelle urine. Io continuavo a chiedere cosa rischiavo, quali valori stavano monitorando, se potevo tornare a casa mia: no, no, no è stata la risposta”.
E’ il 28 aprile e viene deciso il trasferimento d’urgenza al Policlinico di Modena per garantire un’assistenza adeguata al bambino presso il Reparto di Neonatologia: il piccolo è alla ventottesima settimana e i suoi polmoni non sono ancora perfettamente sviluppati. “Ho vissuto malissimo il trasferimento perché non ne capivo la necessità: sono passata dall’ambiente protetto e familiare dell’ospedale di Carpi a quello più asettico del Policlinico di Modena di cui non ho grandi ricordi”, racconta Francesca. L’aumento di peso è impressionante: più di un chilo al giorno, quattordici chili in sette giorni, a causa di una fortissima ritenzione idrica, ma non è ancora il momento, per i medici, di programmare il parto perché, per il bene del bambino, è meglio aspettare. “Cosa rischio?” continua a domandare Francesca. “E’ tutto sotto controllo, non rischi niente perchè il tuo male è il bambino dentro di te e una volta che è nato tuo figlio, il problema non c’è più” è la risposta. Un modo molto diretto per spiegare che la gestosi è una patologia che si manifesta esclusivamente durante la gravidanza.
Maggio
Nonostante l’evidenza, la sera del 2 maggio viene convocato il nefrologo per il sospetto di un’insufficienza renale, “ma al termine della visita, il nefrologo conferma ad alta voce che si tratta di un caso di gestosi” ricorda Francesca. E’ la sera del 3 maggio e i medici sono divisi tra chi vorrebbe aspettare un altro giorno per programmare il parto cesareo e chi pensa che si debba procedere perché “stiamo rischiando molto” dice una dottoressa.
Invece il parto viene programmato per il 5 maggio: alle 10.17 nasce Tommaso, 1.600 grammi.
Il decorso post operatorio pareva tranquillo: “non mi potevo muovere per salire in Neonatologia a vedere il bambino, mi sentivo la testa girare ed ero provata dal parto. Per questo ho chiesto espressamente di poter essere assistita da mio marito o da mia madre durante la notte, ma non mi è stato dato il permesso”.
L’ultimo ricordo di Francesca risale alle 2.15 della notte “quando l’infermiera mi ha provato la pressione, 220 di massima, poi mi sono addormentata”.
L’attacco eclamptico ha colpito Francesca durante il sonno e ad accorgersene è stata la sua compagna di stanza: lei l’ha salvata chiamando i soccorsi. “Io mi sono svegliata in terapia intensiva e non ricordavo nulla di quanto accaduto”. Il termine eclampsia deriva dal greco e significa “come un lampo” perché colpisce all’improvviso, non si controlla, non si prevede, non si previene. E’ una delle più pericolose complicanze della gravidanza, colpisce il 3-5% delle donne in attesa ed è la causa del 20% del totale dei decessi della donna in gravidanza. In considerazione del fatto che l’unica arma per evitare danni seri è una diagnosi tempestiva, è il momento di cominciare a parlarne più apertamente, senza allarmismi.
Sara Gelli

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