“La notte del 20 maggio si è aperta una profonda frattura nella vita di migliaia di emiliani”, si apre così il documentario Emilia: Cronaca di un terremoto, prodotto e diretto da Paul Russell, produttore britannico, e Andrea Vogt, giornalista americana, residenti da tempo in Emilia. Andato in onda, mercoledì 29 agosto, sul canale Dmax, il documentario ha un pregio indiscusso: quello di aver riacceso – seppure per soli 50 minuti – l’attenzione degli spettatori su un disastro di immani dimensioni ma, purtroppo, già caduto nel dimenticatoio. Le immagini, grazie a filmati d’avanguardia girati per mezzo di droni che hanno sorvolato le aree devastate con speciali telecamere HD, raccontano l’incredibile portata della tragedia. Anzi, delle tre tragedie: quella del 20 e del 29 maggio e quella del 3 giugno. Tre inattesi terremoti che hanno ucciso 27 persone e distrutto migliaia di abitazioni e attività produttive. “Il disastro è stato totalmente imprevisto. La valle del Po – racconta la voce narrante del documentario – sembrava il posto più sicuro d’Italia, con la sua attività agricola e industriale che tutto il mondo ci invidia. La minaccia è rimasta dormiente per 500 anni, il mostro si è risvegliato il 20 maggio alle 4:04 del mattino”. Il documentario racconta le vicende di alcune vittime e superstiti: Nicola, che è morto sotto gli occhi dei soccorritori durante una scossa di assestamento; Liviana che è stata salvata dall’unità cinofila dei Vigili del Fuoco per poi soccombere alle ferite due settimane dopo; don Ivan Martini, morto mentre cercava di mettere in salvo una statua della Madonna nella sua Chiesa a Rovereto; la famiglia Pigo, che ha avuto la casa distrutta dal fango che ha letteralmente ingoiato il pavimento. Tra tutti i sindaci del cratere invece, il documentario dà voce soltanto a quello di Cavezzo, Stefano Draghetti, e di Mirandola, Maino Benatti. Un viaggio tra le macerie, quello che propone Emilia: Cronaca di un terremoto, che dimentica completamente Carpi. Mai nominata, la Corte dei Pio non è nemmeno stata segnata tra le cittadine colpite sulla cartina. E’ vero: Carpi non è Cavezzo. Nemmeno Finale Emilia. Siamo stati fortunati, poichè soltanto sfiorati dalla violenza dell’ondata sismica. Ma anche Carpi ha le sue ferite. Andatelo a chiedere alle 2.242 persone interessate da un’ordinanza di inagibilità. Chiedetelo ai 288 nostri concittadini che vivono in albergo o sotto una tenda dal 29 maggio ad oggi. Non è certo per narcisismo che avremmo voluto sentir nominare la nostra città su DMax, bensì per onor del vero. E per rispondere ai tanti che oggi, a Carpi, pensano che un terremoto non ci sia stato. E che tutto sia già tornato alla normalità. Avremmo voluto che i nostri amministratori, come hanno fatto Draghetti o Benatti, avessero cercato maggiore visibilità mediatica, per dare a Carpi e ai suoi cittadini l’attenzione che meritavano. E invece no. Nonostante il colore e la bandiera siano gli stessi, la politica carpigiana ha scelto la strada della “sobrietà”. Risultato? Nulla è accaduto. Il centro storico ha riaperto. Il mercato cittadino è tornato in piazza. Tutto il patrimonio storico-artistico è stato messo in sicurezza. Così come le chiese carpigiane. Nessun terremoto ci ha scosso. Basta fermarsi alla superficie delle cose. Lo sky line carpigiano non è mutato. Tutto è ancora lì. Ferito, forse, ma in piedi. E allora basta non scalfire le pietre rovinate. Accontentarsi di poter camminare accanto al Duomo senza sapere quando potremo rivarcarne la soglia. Come sempre l’oscurantismo ha ottenuto l’obiettivo sperato. Se non si parla di un fatto: quel fatto non è mai accaduto.
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