Il vero nemico dell’educazione alla relazione è il silenzio

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Un dibattito da sempre delicato, quello relativo all’educazione sessuale, nelle ultime settimane ha acquistato, se possibile, ancora maggior veemenza, complice la vicenda che ha visto protagoniste le scuole d’infanzia del Comune di Trieste, dove sarà avviato il Gioco del rispetto – Pari e dispari: un progetto educativo che, ideato da una psicologa e un’insegnante, mira “a verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi e femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri”. Unitisi alle proteste di alcuni genitori, esponenti politici locali e nazionali non hanno mancato di gridare allo scandalo, all’induzione dell’ideologia gender, al sovvertimento dei valori tradizionali della famiglia naturale. All’accalorato dibattito ha poi contribuito una lunga lettera aperta inviata da Susanna Tamaro al Corriere della Sera. Tra i punti principali espressi dalla scrittrice triestina, il sospetto che “l’entrata nella nostra società del mito dell’educazione sessuale come panacea di tutti i mali”, sia legata al declino dell’educazione tout court. Al punto che verrebbe da chiedersi – come in effetti fa, in conclusione, l’autrice di Va dove ti porta il cuore – se non sia “venuto il momento di lasciar perdere le forzature ideologiche e di cominciare a parlare seriamente, tra di noi e coi nostri figli, di tutto ciò che sesso non è”.  Per tentare di vederci più chiaro abbiamo interpellato Nora Marzi, psicologa responsabile del Consultorio di Carpi. “Le polemiche vanno benissimo, perché la discussione è sempre un terreno di lavoro e il dialogo tra posizioni differenti è prezioso”. E’ il silenzio, al contrario, la risposta da temere: “a volte ci si illude che, non parlando di certe cose, queste non esistano, non accadano. Ma i ragazzi certe domande se le pongono, che le esplicitino o meno, che gli si risponda o no. L’educazione sessuale, che porta con sé  anche quella sentimentale e relazionale, è soltanto una parte del progetto educativo. Progetto che vede coinvolte tante agenzie, la prima delle quali è la famiglia. I genitori sono soggetti sessuati, prima di tutto non verbali, ma nei momenti magici in cui i loro figli si fanno delle domande – fisiologicamente tra i 13 e i 14 anni e a 16, età legate alla pubertà e alle conseguenti modificazioni psicofisiche – bisogna sappiano bene che anche il silenzio,  rappresenta una forma di risposta, ovvero che di certe cose è meglio non parlare. Per questo servono adulti competenti”. Da anni il Consultorio familiare porta avanti progetti presso le scuole medie, nel corso dei quali vengono formati gli insegnanti più sensibili al tema: culminano in un incontro finale tra ragazzi, psicologi e ostetriche. Modalità simili anche per quanto riguarda gli istituti superiori, nei quali però, a occuparsi delle prime discussioni con gli studenti, sono dei loro pari, di poco più grandi, attraverso il modello della peer education. Nell’ultimo anno la Regione Emilia Romagna ha poi raccolto tutte le progettazioni legate all’educazione all’affettività e sessuale in un progetto unitario dal titolo di W l’amore, per il quale è stato prodotto un libretto di una sessantina di pagine il quale non ha mancato di far discutere. “C’è soltanto una pagina in cui si parla di orientamento sessuale – spiega la dottoressa Marzi – ma sia chiaro: una cosa è l’identità sessuale, altra l’orientamento che emerge nel corso dell’adolescenza. C’è questa idea della plasticità dell’orientamento, della possibilità cioè di scegliere se essere attratti da persone del sesso opposto o del medesimo, ma la realtà è che non si tratta di scelta. Dopotutto a nessuno fa piacere sapere di essere parte di una minoranza e il rischio è proprio quello che, per timore dello stigma, si tacciano le proprie inquietudini. Noi lavoriamo per prevenire tali disagi, perché i rischi possono andare dall’isolamento ai comportamenti sessuali a rischio”. Secondo Nora Marzi, è sul termine ‘rispetto’ che tutti dovrebbero trovare un accordo: “una parte fondamentale della maturità è rappresentata dall’incontro con l’Altro – spiega – e questo incontro può avvenire soltanto sulla base del reciproco rispetto, che si impara a tutte le età. Oggi, per fortuna, i ragazzi sono molto più pronti a discutere rispetto a qualche anno fa, spesso più dei genitori, ma posseggono un’informazione disinformata, nel senso che vivono una deformazione della realtà che è compito dell’educatore far emergere. Occorre, in altre parole, l’educazione a una buona relazione. I genitori non sono esclusi da questo processo, al contrario sono sempre coinvolti nei nostri progetti. Il problema è, piuttosto, che vi partecipano in misura minore, probabilmente perché rivedere i propri valori e pensieri sul mondo è più difficile quando si è adulti”. 
Ma è proprio qui, racchiusa in questa capacità di trasformazionela chiave per un’adolescenza serena: “mi rendo conto che, a volte, verificare i propri principi mettendoli in rapporto con la realtà che ci circonda possa rappresentare un elemento destabilizzante, ma l’adolescenza è il periodo di transizione per antonomasia e la si può trascorrere positivamente solo se i genitori sono in grado di cambiare con e insieme ai propri figli. Noi operatori non abbiamo il compito di essere amministratori di verità, quanto di metterci in ascolto, per facilitare questo incessante dialogo con se stessi e con gli altri a cui diamo il nome di crescita”.
Marcello Marchesini
 

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