A 24 anni, il carpigiano Michele Malavasi ha ben chiaro che, nella vita, vuole occuparsi di cibo e gastronomia, argomenti dei quali è appassionato sin dall’adolescenza. Per questo, nel dicembre 2014, sì è laureato in Scienze gastronomiche all’Università cuneese di Pollenzo: fondata da Carlo Petrini di Slow Food, persegue lo studio di queste tematiche attraverso un modello innovativo e interdisciplinare. Da aprile a novembre del 2015 ha poi partecipato a un programma di internship extracurriculare che l’ha condotto negli Usa, a Colorado Springs, vicino Denver, lavorando per sei mesi al The Broadmoor, lo storico hotel e resort a cinque stelle e cinque diamanti del Colorado, con oltre mille dipendenti. “Io – spiega Michele – mi occupavo del servizio in sala presso il ristorante italiano dell’Hotel: il Ristorante del Lago. Ciò nonostante, durante il mio orario di lavoro ero l’unico italiano. Avevo alcuni colleghi americani, ma la maggior parte proveniva da ogni parte del mondo. Coetanei che frequentavo anche al di fuori del lavoro: giovani estroversi e competenti, divertenti ma determinati, che hanno reso l’ambiente piacevole e stimolante”. Ma cosa ha imparato Michele da questa esperienza statunitense? “La conoscenza dell’inglese è l’ambito in cui sono maggiormente migliorato. Il lavoro mi ha permesso di imparare diversi vocaboli legati al food and beverage, alla ristorazione e un linguaggio professionale da utilizzare coi clienti. The Broadmoor è un hotel molto importante: offrire un servizio impeccabile è fondamentale per mantenere il suo prestigio; un’attitudine adeguata e un elevato standard di servizio sono altre lezioni che il lavoro e i diversi corsi di formazione organizzati dall’hotel mi hanno insegnato”. Ma non è tutto qui, perché incontrando centinaia di ragazzi provenienti da ogni angolo del mondo, Michele ha potuto relazionarsi con culture e idee diverse e questo ha conferito al suo soggiorno un valore aggiunto. Dopo un’esperienza di questo tipo saltano all’occhio le differenze tra il modo di concepire il turismo in America e in Italia. “Colorado Springs è una città di dimensioni medio-piccole se paragonata alle grandi metropoli statunitensi, di conseguenza a livello turistico e culturale non è una meta ricca di attrazioni, eccezion fatta per i paesaggi offerti dalle Rocky Mountains. Al Broadmoor l’offerta dura tutto l’anno e vi si fanno numerose attività: dallo sport al relax, dal turismo congressuale ai meeting di lavoro, dal benessere all’enetrtainement, ambito in cui gli americani sono insuperabili. Inoltre un’etica del lavoro straordinaria e una struttura organizzativa paragonabile a una multinazionale permettono di mantenere standard di servizio altissimi che soddisfino gli ospiti in ogni loro bisogno. E’ il Broadmoor la vera attrazione, non la città in sè. L’Italia è invece un paese ricco di bellezze naturali, storia millenaria, arte, cultura, qualità artigianale, eccellenze enogastronomiche. Per questo ci basterebbe valorizzare queste magnificenze. Purtroppo, però, non sempre siamo orgogliosi di questo patrimonio insuperabile. Limitandoci al mio ambito di formazione, l’enogastronomia italiana è la più famosa e imitata al mondo. Nel nostro Paese un atto semplice, quotidiano e piacevole come mangiare, può connettere a secoli di storia, territori, abilità contadina e, a volte, genialità culinaria. Purtroppo, alla nostra ricchezza gastronomica corrisponde una diffusa ignoranza del consumatore e, alle volte, anche degli operatori del settore. Spesso accade che ci si accontenti di fruire di un prodotto o di un piatto così come ci viene presentato sulle tavole dei ristoranti, sugli scaffali dei supermercati e oggi anche in televisione. Quando viene espresso, il giudizio estetico si limita alla mera percezione sensoriale, ignorando l’insieme di attività e di relazioni che iniziano dalla coltivazione del cibo sino alla realizzazione del piatto. La qualità di un’opera culinaria si trova proprio in questo processo: una pluralità di attività discrete di cui il lavoro del cuoco è sporgenza ultima e più evidente. L’attenzione mediatica cui la cucina è esposta oggi deve rappresentare un’opportunità importante per diffondere una cultura del cibo che permetta di riconoscere e valorizzare l’autentica qualità e non l’ennesima occasione per alcuni soggetti, autodefinitisi esperti, di divulgare il culto di se stessi. Prima di insegnare qualcosa agli altri, dovremmo dunque impararla noi stessi, per non rischiare di dar ragione al detto che un italiano, quando non sa una cosa, la insegna”.
Marcello Marchesini