Oggi esiste un serio deficit di democrazia a livello europeo rivelato dall’enorme distanza tra le scelte, i regolamenti e gli adempimenti decisi e imposti agli Stati membri dall’Unione Europea e le necessità oggettive dell’Eurozona e dei suoi cittadini.
Un esempio è rappresentato dalle politiche per l’automotive. L’Europa, per accelerare la transizione ecologica, si è data scadenze così ravvicinate da pregiudicare la sopravvivenza stessa dell’industria dell’auto europea, il suo primato tecnologico e i suoi marchi forti. Chiedere a chi ha costruito fino a ieri motori termici di passare domani a quelli elettrici equivale a disintegrare il know how di un intero settore imponendo una decisione come se fossimo nell’economia pianificata del modello sovietico di antica memoria. La domanda è: sono stati consultati i diretti interessati? E’ stato sentito il parere degli imprenditori europei? Se avessero potuto dire la loro, avrebbero approvato le tecnologie a minor impatto ambientale ma avrebbero chiesto di arrivarci con una logica e tempi diversi, partendo dall’industrializzazione delle filiere da supportare con investimenti. Non solo. Se all’industria dell’auto europea non riesce la veloce rimonta, sarà sorpassata dalla concorrenza americana e cinese che ne ha approfittato in questi anni per aggredire significative quote di mercato.
Altro esempio della distanza tra le necessità dei cittadini europei e le priorità dell’Unione Europea è la normativa ESG (Environmental, Social, Governance) che valuta l’impatto dell’attività delle imprese in relazione agli aspetti ambientali, sociali e di governance, in pratica una panoramica completa e dettagliata della sostenibilità aziendale. Gli ESG giocano un ruolo sempre più importante nell’accesso al credito e nel rapporto fra banche e imprese, ma se introdotti senza una mediazione limiteranno l’erogazione del credito alle imprese, soprattutto quelle medie e piccole perché faranno molta fatica ad adeguarsi a questi adempimenti che rappresentano un ulteriore aggravio burocratico. La conseguenza potrebbe essere (e lo sarà) una maggior difficoltà nell’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese manifatturiere che nel nostro Paese stanno vivendo da tempo una serie di difficoltà.
Obiettivi condivisibili a livello ideale si sono tradotti in una scadenza secca al 2035 troppo ravvicinata per l’automotive europeo che non ha impianti produttivi e tecnologie per produrre a prezzi accessibili auto elettriche. I cittadini europei saranno costretti a comprarle dagli unici player globali che possono avere tecnologie e prezzi competitivi, come i cinesi, la cui industria, paradossalmente, è supportata da carbone e petrolio… non proprio energie da fonti rinnovabili.
Chi diamine suggerisce di fare queste cose? Viene il dubbio che sia la Cina…Dipendiamo dai cinesi per tecnologia e capacità produttiva e non abbiamo in Europa le materie prime. Ultimamente è più complicato il commercio delle stesse in un contesto globale di conflitti con una situazione sempre più incandescente in Medio Oriente e con uno dei nostri più grandi fornitori, la Russia, impegnata nella guerra all’Ucraina al fianco della quale si è schierata l’Europa. Chi suggerisce alla Commissione europea di continuare a insistere in direzione del green in un contesto che è deflagrato?
Lo scenario futuro più probabile è che l’auto europea, minacciata dall’aumento dei costi dell’energia, dalla carenza di manodopera qualificata e dai nuovi metodi di fabbricazione, vada incontro a un graduale declino. Le conseguenze sarebbero gravi per i 145 miliardi di PIL in meno, i milioni di posti di lavoro persi, l’ammanco fiscale e i miliardi di euro bruciati in Borsa. A quel punto, diventeremo per forza più green mangiando pane e cipolla…(è forse quello l’obiettivo? Ma condiviso con chi?)
PAP20