L’Unione Europea si impone come se fosse l’ex Urss?

La rubrica di PAP20

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In Europa non si modifica mai nulla: le regole fondamentali che ci siamo dati nel 1992 valgono ancor oggi, salvo le centinaia di interpretazioni riservate a quei Paesi come Francia e Germania a cui erano concesse. Anche il nuovo Patto di Stabilità post pandemia ricalca quello precedente con qualche anno concesso in più per lo sforamento ma poi chiede un rientro più rapido negli anni successivi.

Mentre all’interno dell’Unione Europea tutto si perpetua, all’esterno il mondo è andato avanti in questi trent’anni: sono cambiati gli equilibri, le politiche, le alleanze. Noi continuiamo a balbettare che il debito è brutto e cattivo e che deve essere il libero mercato a guidare le scelte degli Stati ma facciamo il contrario di quello che diciamo. Il settore automotive rischia il collasso per scelte dogmatiche non dettate dal mercato ma dalle istituzioni europee che hanno imposto la dismissione del motore a combustione entro il 2035 e in un contesto in cui non è stata prevista una dorsale industriale in grado di supportare questa scelta con la produzione di batterie o motori elettrici. Così con il pretesto della tutela ambientale si porta al fallimento uno dei principali settori industriali che garantiscono posti di lavoro in Europa.

La facevano anche in URSS ma senza improvvisare la pianificazione industriale.

In più noi abbiamo Draghi che abbiamo conosciuto come difensore dell’austerità e che se ne esce, da consulente della von der Leyen, con l’annuncio della necessità di fare investimenti dopo che, per venticinque anni, l’Unione Europea ha inibito gli Stati dal farli. E se fino a ieri non si doveva spendere, oggi improvvisamente per rilanciare l’Europa che è rimasta indietro rispetto ai competitor si devono fare investimenti.

Uno Stato keynesiano l’avrebbe già fatto nel 2008 e con la crisi del debito sovrano nel 2012-2014 ma noi ci arriviamo solo nel momento in cui investire significa armarsi, creare la difesa comune e la filiera delle armi.

Si ha presente il nostro interesse (dell’Europa e dell’Italia) o si risponde a determinate logiche di lobby?

Invece di porci scomode domande, preferiamo continuare sulla linea di Maastricht e della logica debito/Pil imbarcando altri Paesi, come l’Ucraina disintegrata dalla guerra. Invece di migliorare le nostre condizioni economiche ci ritroviamo con una disparità maggiore tra i ricchi che sono molto più ricchi e i poveri che sono molto più poveri di trent’anni fa. Non succede assolutamente niente se viene disintegrato il Nord Stream, la principale infrastruttura per l’approvvigionamento di energia a basso costo dalla Russia, se il dito viene puntato sugli ucraini, se gli Stati Uniti stanno migliorando il loro Pil diventando fornitori unici dell’Europa, se si scopre che inglesi e americani hanno fatto saltare il processo di pace avviato due mesi dopo la guerra.

Invece di porsi scomode domande, il cittadino europeo preferisce ancora inneggiare alla libertà, alla pace, alla crescita economica, alla rivendicazione dei diritti: il sogno europeo è, in realtà, un fallimento totale. La Russia in guerra è riuscita a crescere del 4% negli ultimi due anni, noi siamo intorno allo 0, stiamo sopravvivendo e la nostra locomotiva, la Germania, è sull’orlo della recessione.

Ciò premesso la domanda è: siamo in un contesto in cui il potere gestisce se stesso indipendentemente dai cittadini con l’unico scopo di andare avanti governando? Siamo in un contesto di nuova URSS che ce l’ha fatta (a differenza dell’altra che è collassata)?

Se consideriamo il nostro reddito pro capite, la nostra ricchezza media, il nostro debito pubblico in costante aumento, la nostra capacità di crescere come Pil, vediamo che il peggioramento della nostra condizione è stato costante nei Paesi Euro rispetto al resto del mondo occidentale.

Gli indicatori ci dicono che dobbiamo cambiare tutto, altrimenti l’Unione Europea, come sostiene anche Draghi, non sopravviverà. A differenza sua, che conta sulla vittoria dell’Ucraina e sugli armamenti per la difesa dei valori, bisogna puntare  su una democrazia in cui siano le popolazioni europee a scegliere (col voto) una classe dirigente che renda conto di cosa possa aver sbagliato. Il sistema attuale a livello europeo è antidemocratico ma ha una tale capacità di intervenire sui singoli Stati da poter incidere sul loro futuro.

PAP20