Il cippo di via Righetta, a Fabbrico, ha attirato la nostra attenzione per la presenza, tra i nomi dei caduti, di due combattenti russi. Ma cosa ci facevano tra le fila dei partigiani Mironenko Nikolai e Mihailov Ivan?
Nella notte del 15 aprile 1945, a una manciata di giorni dalla Liberazione, mentre erano in corso massicci rastrellamenti da parte dei fascisti nelle zone a ridosso del Po, una squadra di partigiani del Distaccamento Aldo perse il collegamento col resto della formazione nel corso di uno spostamento, trovando riparo in un casolare di campagna tra Rolo e Fabbrico, in via Righetta. Probabilmente infornata da una spia, la Brigata Nera Mobile Pappalardo, comandata da Franz Pagliani (Concordia sulla Secchia 1904 – Bologna 1986) circondò il casolare della Famiglia Calzolari, intimando ai partigiani di arrendersi. Il gruppo si arrese dopo aver ottenuto dai repubblichini la promessa d’aver salva la vita ma una volta gettate le armi, i sette partigiani Nicola Predieri, Alfredo Monzini, Norino Cipolli, Antonio Tasselli, Francesco Verardi e i due russi Mihailov Ivan, Mironenko Nikolai, tutti appartenenti alla 77° SAP, insieme a Quirino Bonaretti un anziano civile residente in zona, vennero torturati e giustiziati. I due russi, che erano stati arruolati forzosamente dai tedeschi, disertarono e si unirono ai partigiani di Rolo della 77esima, prima di trovare la morte nell’eccidio di via Righetta.
Presso il Tribunale di Ferrara si svolse il processo al capitano della Brigata Nera “Tupin”, Carlo Tortonesi, ritenuto responsabile tra l’altro dell’Eccidio della Righetta, condannato a morte mediante fucilazione alla schiena il 16 aprile 1947. La sentenza venne però mutata l’anno seguente in ergastolo dalla Corte di Cassazione. In virtù di una serie di riduzioni di pene concesse mediante due decreti presidenziali, Tortonesi fu rilasciato in libertà vigilata nel 1954. Il Tribunale di Bologna emise invece una sentenza a cinque anni di carcere nei confronti di Franz Pagliani, responsabile insieme a Tortonesi, dell’eccidio della Righetta. Pagliani scontò la pena nella Città delle Due Torri e nel 1950 riprese la sua attività di chirurgo per poi divenire in seguito un importante dirigente del Movimento sociale Italiano. Oggi a ricordare i caduti di via Righetta vi è un monumento con una struttura a semicerchio costituita da un trittico composto da una croce in cemento al centro e da due lastre rettangolari in travertino ai lati su cui sono posizionate le fotografie e i nomi degli otto caduti. Alla base un’epigrafe recita: Uniti nella lotta come nel sacrificio supremo per il mondo della giustizia e della libertà vennero qui barbaramente trucidati il 15 – 4 – 1945.
Gli otto furono sepolti a Rolo dopo la Liberazione con un imponente e partecipato funerale: nel cimitero rolese il Comune, grazie a una sottoscrizione popolare, costruì una Cappella dei caduti, nella quale furono poste le vittime dell’eccidio e dove sono presenti lapidi e fotografie. Negli Anni Settanta persino una delegazione russa si recò più volte a Rolo per partecipare alla commemorazione di Mironenko Nikolai e Mihailov Ivan, i due partigiani che caddero in via Righetta.
A delineare il ruolo dei soldati sovietici nella lotta partigiana e a rendere loro il dovuto onore è uno studio, I partigiani russi nel reggiano, basato in gran parte su un carteggio dell’epoca, conservato presso l’Archivio dell’Ufficio storico dell’Anpi di Reggio Emilia. “Ai primi patrioti italiani – si legge – si unirono in provincia di Reggio parecchi soldati sovietici. Questi militari catturati dai tedeschi nell’Urss erano stati portati in Italia al seguito delle divisioni hitleriane. Erano adibiti in genere a lavori ausiliari ma in parte, specie i mongoli, venivano incorporati in unità combattenti della Wehrmacht. Sui soldati russi le formazioni italiane esercitavano un grande potere di attrazione: per loro divenire partigiani significava riprendere, sia pure sotto altra forma, quella dura lotta contro il nazifascismo che ancora vedeva impegnata a fondo sull’immenso fronte dell’Urss l’Armata rossa verso il nemico del loro Paese ma forse anche il desiderio di affiancarsi per gratitudine o affinità ideologica alle classi popolari italiane che si battevano per l’indipendenza e per un assetto sociale più avanzato”. Nella provincia di Reggio Emilia, questi soldati trovarono le giuste condizioni per il loro inserimento nella contesa. La maggioranza dei reggiani infatti, prosegue lo studio, “si era già alleato coi popoli che il fascismo aveva voluto assoggettare. Proprio in virtù di questa situazione i soldati sovietici disertavano facilmente. Tra i primi a fuggire in provincia furono Anatoli Tarasov e il tenente Victor Pirogov”. Ma furono solo i primi poiché a partire dall’estate del 1944, con la nascita delle SAP, le squadre d’azione patriottica che agivano in pianura, l’afflusso dei patrioti russi verso la montagna aumentò. “In qualche caso venivano incorporati anche nelle formazioni di pianura ma – continua il documento – purtroppo non è noto il numero preciso di sappisti russi in quanto tali formazioni – svolgendo la loro formazione in forma clandestina – non ci hanno lasciato elenchi degli appartenenti alle varie unità anteriori alla data della Liberazione…
Tra i partigiani stranieri operanti nel reggiano i russi furono di gran lunga i più numerosi e attivi; quelli che diedero il maggior contributo di sacrifici e sangue (per maggiori informazioni ecco il link allo studio: https://www.yumpu.com/it/document/read/14969711/scarica-il-fascicolo-10-11-in-pdf-istoreco)”.
Tra questi vi sono anche Mihailov Ivan (Si legge nello studio: “Non meglio identificato, appartenente alla 77esima Brigata Sap, catturato e fucilato in località Righetta il 15 aprile 1945 da truppe tedesche assieme a un connazionale e ad altri patrioti reggiani, Sepolto nel cimitero di Rolo) e Mironenko Nikolai (“Non meglio identificato, appartenente alla 77esima Brigata Sap. Morto nelle stesse circostanze del suo compatriota Mihailov e sepolto nel cimitero di Rolo”) i cui nomi sono incisi accanto a quelli dei loro compagni italiani sul cippo eretto in via Righetta. Un contributo di sangue, il loro, poco conosciuto e che esige d’essere ricordato.
Jessica Bianchi