Si chiamava Carlo Mattia e aveva solo tre giorni di vita quando è morto, lo scorso 7 gennaio, all’Ospedale Pertini di Roma, tra le braccia della sua mamma intenta ad allattarlo. Una storia straziante che ha però riacceso i riflettori sul delicatissimo tema della violenza ostetrica e del rooming-in, pratica che permette alla madre e al neonato di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale sin dai primi istanti dopo il parto.
Ma il rooming-in è sempre la soluzione ottimale o un’alternanza col nido potrebbe dare un po’ di sollievo alle mamme maggiormente provate dall’esperienza del parto?
A rispondere sono la dottoressa Giulia Pellizzari, direttrice dell’Unità operativa di Ostetricia e Ginecologia del Ramazzini e Ilaria Corbo, coordinatrice delle ostetriche dell’ospedale di Carpi.
“Da più di trenta anni le Società Scientifiche, l’OMS e il Ministero della Salute hanno promosso la pratica del rooming-in. Il contatto tra madre e figlio, che si realizza sia a livello epidermico che visivo immediatamente dopo la nascita, dovrebbe continuare offrendo alla madre la possibilità di tenere sempre il bambino con sé. La pratica del rooming-in – spiegano – dovrebbe quindi sostituire quella di tenere madre e figlio in camere separate e a contatto soltanto durante visite programmate. La prima pratica presenta una serie di importanti vantaggi: per esempio, facilita il crearsi di un legame affettivo, rende possibile l’allattamento al seno tutte le volte che il neonato sollecita nutrimento e permette un contatto più stretto con il padre e gli altri familiari. Il rischio di infezioni neonatali, che rappresenta una delle principali preoccupazioni, risulta inferiore se il neonato rimane nella camera materna piuttosto che nell’ambiente chiuso di una nursery, in cui si possono sviluppare gravi epidemie. Il mantenimento del contatto madre-figlio favorisce la colonizzazione della pelle e del tratto gastroenterico del neonato da parte dei micro-organismi materni, che tendono a non essere di natura patogena e contro i quali agiscono gli anticorpi contenuti nel latte materno. Il neonato è quindi contemporaneamente esposto e protetto dagli organismi contro cui svilupperà un’immunità attiva solo in un periodo successivo. I neonati tenuti nella nursery, invece, tendono a essere soggetti ai batteri che possono essere portati involontariamente dal personale ospedaliero, micro-organismi che, in generale, sono più patogeni e spesso resistenti a molti farmaci antibiotici e contro cui non esistono anticorpi specifici nel latte della madre. Ciò spiega la facilità con cui le infezioni cutanee, gastrointestinali e delle vie respiratorie si diffondono in tali ambienti. Il neonato dovrebbe essere allattato al seno liberamente, frequentemente e senza orari fissi, per ricevere tutti i benefici del colostro, estremamente importante dal punto di vista immunologico (previene le malattie comuni), nutritivo (fornisce vitamine e minerali) e dello sviluppo (assicura la maturazione della mucosa intestinale). Alla luce di quanto esposto appare evidente il vantaggio di tale pratica: naturalmente l’assistenza personalizzata permette la modulazione del supporto offerto sulla base delle necessità di ciascuna neomamma. La cura dei pazienti non è una condizione statica e anche eventi dolorosi come quello che si è verificato all’Ospedale Pertini di Roma ci debbono indurre a riflettere per offrire un’assistenza sempre migliore e vicina alle necessità di ciascuno”.
Come si può sostenere una neo mamma dentro all’ospedale?
“La neomamma – proseguono Pellizzari e Corbo – ha la possibilità di essere informata prima del parto circa l’allattamento e l’accudimento del neonato all’interno del reparto, durante gli incontri organizzati dall’Unità Operativa Ben arrivato! I primi giorni insieme e Nascere insieme. Questa possibilità è offerta anche alle pazienti straniere, che possono partecipare all’incontro svolto in lingua inglese con la presenza anche di mediatrici culturali (abitualmente di origine pakistana e araba) Giving Birth in Carpi. Le ostetriche supportano le mamme dall’immediato post partum in sala parto e durante tutta la degenza, dando indicazioni e consigli in merito all’accudimento e all’allattamento del neonato. L’assistenza ostetrica è personalizzata e se l’ostetrica rilevava particolari necessità o fragilità interviene a supporto della neomamma. Il reparto, nei casi in cui se ne ravvisi la necessità, mette in atto interventi mirati al benessere della neomamma, dal supporto della Psicologia Clinica sempre disponibile, all’eventuale permanenza di persona di fiducia della paziente anche al di fuori degli orari prestabiliti, fino all’affidamento del neonato al Reparto di pediatria per il periodo necessario. Nelle gravidanze multiproblematiche esiste poi un percorso stabilito da una delibera Regionale che prevede il coinvolgimento di servizi territoriali e ospedalieri a supporto delle neomamme e dei bambini”.
E fuori, una volta rientrata a casa? Quanto è importante cambiare la narrazione della maternità dove l’equazione spirito di sacrificio uguale amore è ancora tanto radicata? Qual è il ruolo del partner?
“La tematica del rientro a casa – spiega la dottoressa Giovanna Fogaroli, psicologa del Consultorio di Carpi – viene affrontata con le donne e i loro partner già durante gli incontri di assistenza alla gravidanza, e viene approfondita durante i corsi di preparazione alla nascita, a cui tutte le donne possono partecipare. Gli psicologi del Consultorio conducono un incontro specifico, riservato sia alle future mamme che ai papà, durante il quale vengono date informazioni utili a riconoscere i segnali di disagio nelle mamme e nei papà, suggerendo come ogni coppia può attivare le proprie risorse e competenze tramite nuove strategie, ma anche normalizzando la possibilità di accedere alla consulenza psicologica. Ampio spazio viene inoltre dato al passaggio tra la dimensione ideale e quella reale della genitorialità, quando nell’incontro con il bambino e con se stessi nella relazione con lui i neo genitori si trovano spesso in contatto con una dimensione emotiva inaspettata, in cui scoprire nuove risorse e nuove fragilità. Capita molte volte che le neo madri scoprano quanto il legame esclusivo con il neonato, caratteristico delle prime settimane di vita, possa essere gratificante ma anche faticoso, e che si sentano in colpa e spaventate di fronte alla naturale dimensione ambivalente che un legame così nuovo e così importante porta con sé. La difficoltà nel delegare e nel chiedere auto, la pretesa di perfezione e di mantenimento di standard prestazionali altissimi, il timore di perdere di vista se stesse, la coppia, gli spazi di benessere e gli equilibri faticosamente conquistati prima della maternità: tutti questo chiede accoglienza e legittimazione, e deve passare attraverso un cambiamento della rappresentazione, individuale e sociale, della maternità. Il maggior coinvolgimento dei partner e una loro maggiore consapevolezza del ruolo paterno rappresenta certamente una risorsa importante per le nuove famiglie, così come la possibilità di accedere a esperienze di confronto e condivisione con altre mamme e altri papà, sia attraverso gruppi informali che più strutturati attorno attività specifiche”.
Il periodo dopo il parto è un nuovo inizio, che richiede tempo e rispetto. Sfatiamo dunque il mito delle mamme super eroine. Nessuna nasce madre ma impara a farlo. Inciampando e a volte cadendo. L’istinto materno non è un dono, lo si può acquisire, con la pratica quotidiana e con l’aiuto di chi si ha accanto, a partire dai primi referenti dopo il parto, ovvero le ostetriche. Figure preziose che hanno il dovere di supportare queste donne e di non lasciarle sole all’inizio della loro avventura più complessa e per certi versi spaventosa, quella della maternità. Per farlo più risorse umane in reparto non guasterebbero.
Jessica Bianchi