“Il gioco mi ha accarezzato e poi ucciso poco alla volta”. Il racconto di un marito e di una moglie

Le toccanti testimonianze del marito (giocatore patologico) e della moglie, tra momenti di calma apparente e ricadute, raccolte dal Ceis - Centro italiano di solidarietà di Modena.

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LEI

“È doloroso pensare al momento in cui la dipendenza dal gioco di mio marito è entrata a far parte della mia vita per poi segnarne drammaticamente il destino per oltre vent’anni. Eravamo una bella coppia all’inizio, giovani e innamorati con tante idee e progetti per il futuro. Seguono tuttavia anni di difficili e caparbi tentativi da parte di mio marito di realizzarsi come piccolo imprenditore, sforzi inutili e fallimentari che portano alla luce un’infinità di problemi di tipo economico ma anche psicologico. Ci ripenso spesso ma mi è sempre difficile individuare con esattezza il momento in cui mio marito ha cercato nel gioco la soluzione alle crescenti difficoltà economiche legate al lavoro. Fatture non pagate, corrispondenza nascosta o fatta sparire, documenti contraffatti, denaro sottratto dal portafoglio o dal conto in banca e… bugie, bugie, bugie ideate e raccontate con una geniale maestria! Alla richiesta di chiarimenti tutto pareva verosimilmente riconducibile al fallimento lavorativo. È davanti agli avvocati e ai commercialisti che seguono la chiusura della ditta che scopro le ingenti somme di denaro sperperate nel gioco. I figli piccoli da seguire, il lavoro, la situazione economica da gestire, i percorsi intrapresi per aiutare mio marito a “perdere il  vizio” del gioco hanno ben presto preso il posto all’incredulità, alla rabbia, alla paura.  Così ho trascorso buona parte della mia vita a cercare di portare avanti la famiglia convinta che prima o poi le cose per noi sarebbero cambiate. Ho sempre seguito mio marito nei suoi innumerevoli percorsi di recupero. Mi sono caricata di tanti impegni e crescenti responsabilità, anche quelle di mio marito. Spesso mi sono trovata da sola, in difficoltà. Penso sia stato proprio allora che nella mia vita ho annullato ogni desiderio e qualunque idea di spensieratezza e felicità; la mia mente e le mie azioni sono state costantemente occupate e guidate dall’incubo del gioco e dalla speranza di riuscire a “salvare” mio marito. Ma ogni volta, anche dopo anni di astinenza dal gioco, seguivano ricadute improvvise, sistematiche e repentine. È stata una battaglia estenuante, una vita trascorsa sempre sull’attenti, fatta di compromessi faticosi e di  profondi sensi di colpa.  All’improvviso arriva nella mia vita anche il cancro, in piena pandemia. Nell’assurdità diventa il periodo più felice dopo tanti anni: le sale slot sono chiuse, lui si rivela marito attento e premuroso e diventa l’aria che respiro in questo momento così difficile. Dopo l’intervento trascorro un anno a prendermi cura di me stessa, i figli e mio marito sempre vicini. Un secondo intervento mi costringe ad un’ulteriore una breve pausa. Tutto sembra finalmente andare bene. Solo dopo tre mesi scopro che quel giorno, mentre io forse lottavo tra la vita e la morte, davanti ad una slot machine mio marito ipotecava altri 10 anni della nostra vita. Il cancro quel giorno non mi aveva uccisa, la dipendenza del gioco di mio marito sì. Sono crollata, ho sentito forte il desiderio di morire e ho cercato di perseguirlo. “Sono stanca, non ce la faccio più!” erano le uniche parole ad uscirmi dalla bocca. Ho pensato che una vita così non valesse la pena di essere vissuta  ancora. Devo ringraziare i miei figli se, con tanta comprensione e convinzione, mi hanno spronato ad intraprendere un percorso di sostegno. Uno spazio che potesse essere solo mio, nel quale potermi sfogare ed essere accolta e non più accogliere soltanto, come mi era stato “richiesto” fino ad ora. Solo oggi riconosco con assoluta convinzione che la dipendenza da gioco d’azzardo compulsivo si può “vincere” o quanto meno “tenere sotto controllo”, ma quante ne ho passate e quante ne ho fatte passare!

LUI

Il gioco, anche se all’inizio non in forma patologica, ha sempre fatto parte della mia vita, sicuramente fin dall’infanzia. Ricordo ancora le voci delle zie che trascorrevano lunghe ore la domenica pomeriggio giocando a “bestia” e ricordo nitidamente i rumori delle monete sul tavolo mentre io, a 5-6 anni, ero sdraiato sul divano con la febbre alta; ricordo a 7-8 anni mia nonna che quotidianamente tornava a casa dopo aver giocato con le amiche, contenta di aver vinto qualche centinaio di lire. Ricordo i discorsi fatti da mio padre in merito a gente che perdeva molti soldi al bar giocando a carte. E io già a 10-12 anni, con i miei amici, cercavo il modo di “racimolare” soldi o da spendere sulle giostre alla fiera o per comprare le prime sigarette; a 14 anni per fumare hashish e per divertirmi con i miei coetanei nelle sale giochi o nei bar. È in questo periodo che nascono le prime dipendenze, all’inizio da sigarette, poi da droghe leggere ma anche dall’alcool, da libertà senza controllo e da cattive compagnie. A 15 anni inizio a lavorare con mio padre come artigiano ma ben presto subentrano problemi economici. Soddisfazioni poche, mi avvicino ai primi video poker, saltuariamente, non è un problema. Con gli amici la sera si iniziano a puntare importanti somme a poker, si fuma, si tira, si beve, ogni tanto non è un problema. Passano alcuni anni e le priorità cambiano: decido di ampliare l’attività, faccio debiti ma ho buone prospettive di lavoro e tanta voglia di realizzarmi, perciò mi lancio. Nel frattempo mi sposo, ma il lavoro non va come pensavo e inizio a nascondere la verità alle persone care e a mentire. Sono soffocato dai pensieri negativi nonostante io sia un ottimista. Il gioco si intensifica con il crescere dei problemi. Non ho più nulla, lascio tutto al caso; questa situazione si protrae per circa una decina di anni. Le conseguenze dirette del gioco e di tutta la situazione lavorativa portano alla chiusura della ditta, tra debiti di gioco e di finanza e ad un decadimento fisico e morale tale che tutt’ora ne porto le conseguenze. Ho attraversato lunghi periodi di depressione, ho avuto frequenti attacchi di panico e il pensiero costante di farla finita. E in tutto questo tempo ho sempre cercato di nascondere il mio malessere, senza mai chiedere aiuto.  Passano gli anni, tra momenti di “calma apparente” e nuove ricadute. Mi costringono a seguire percorsi di supporto e di aiuto: non li sento miei, penso di farcela da solo, li abbandono troppo presto. La conseguenza: nuove ricadute. Insomma, nel tempo il gioco è sempre stato la mia ombra, la costante che ha accompagnato e peggiorato la mia vita… una malattia che mi ha seguito silente, accarezzato e poi ucciso poco alla volta, che ha tolto pian piano tutti gli affetti, l’amore che potevo dare e che avrei potuto ricevere, la felicità, i sogni che desideravo realizzare; la dipendenza mi ha reso insensibile, freddo, bugiardo, cinico, ladro. Ma io non ero questo e io non sono questo.
Meno male che c’è chi lo riconosce: mia moglie, i figli, un amico, che ogni giorno sono con te ma quasi non li vedi, accecato da quel legame malato col gioco compulsivo. 

Da solo non puoi farcela. 

In tutto questo tempo ho avuto molte ricadute ma mi sono venuti in aiuto psicologi, educatori, il Sert oltre ad alcune associazioni presenti sul territorio. Se ho finalmente maturato la convinzione che posso “vincere” è grazie a questa fitta rete di sostegni a cui mi sono affidato e a tutti quelli che credono in me, ma soprattutto a me stesso a cui ho ammesso  finalmente di avere una dipendenza”.