Aiutare le donne vittime di violenza: è da questo imperativo che nel 2019 è nata la legge 69/2919 nota come Codice Rosso. Un provvedimento legislativo che, pur rappresentando un passo avanti, grazie all’introduzione di nuove fattispecie di reato e inasprendo le pene di taluni già esistenti, presenta ancora numerose ombre. Lacune che, come sottolinea l’avvocato Simona Fontanini, sono riconducibili “alla difficoltà probatoria e alla preparazione non omogenea e specializzata di tutti gli operatori del diritto, dalle Forze dell’ordine agli avvocati, ai magistrati, spesso ad esempio non in grado di riconoscere i casi di violenza psicologica, la più diffusa e meno denunciata dalle donne. La terza criticità è invece connaturata allo stesso sistema penale, le cui tempistiche sono a dir poco elefantiache”.
La legge prevede che la donna che sporge denuncia debba essere sentita entro tre giorni. Un laccio che ha, di fatto, sovraccaricato le Procure, facendo in modo che non si possano separare le situazioni più gravi da quelle di minore entità, con una reale difficoltà nella valutazione prognostica dei casi in cui la violenza possa giungere ad atti estremi. Un sovraccarico che inevitabilmente si ripercuote sulle vittime. “Il vero problema – prosegue l’avvocato Fontanini – non sta tanto nella celerità dell’iter procedurale, che peraltro è relativo alla sola parte iniziale della procedura, a cui seguirà l’ordinaria tempistica processuale sino a eventuali sentenze di condanna o di proscioglimento, bensì nell’annoso problema di sottorganico delle Procure molte delle quali al collasso. Il personale poi dovrebbe essere affiancato da operatori qualificati in grado di offrire consulenze di carattere psicologico, solo così diventerebbe possibile valutare la reale gravità delle denunce . Non smetterò mai di ribadirlo interpretare le condotte riconducibili alla violenza psicologica è estremamente complesso e occorre contemperare la necessità di stigmatizzazione delle condotte violente con le garanzie del nostro processo proprio in ragione della possibile strumentalizzazione del Codice Rosso. Tale provvedimento legislativo ha numerosi punti deboli e il primo è che la vittima di reato si ritrova a rivivere, più e più volte, la violenza subita. Un ulteriore problema è legato alla strumentalizzazione del Codice Rosso da parte di alcune donne soprattutto a fronte di separazioni conflittuali e delicate dai mariti o compagni. Non è raro assistere uomini, stigmatizzati come violenti, che in attesa che il procedimento penale si compia e vengano dunque accertate le loro responsabilità, sono costretti, ad esempio, a vedere i propri figli solo in ambito protetto e sotto la supervisione degli assistenti sociali, poi integralmente scagionati da ogni accusa”.
Un altro nodo cruciale è quello legato all’inefficacia dei provvedimenti cautelativi: non è raro infatti che gli ordini di allontanamento emessi dal Tribunale vengano violati e non mancano i casi di uomini che in barba a tali divieti ricorrano poi al gesto più estremo ovvero l’omicidio dell’ex compagna come dimostrato da numerosi casi di cronaca. Codice Rosso prevede il ricorso al Braccialetto elettronico ma, spiega l’avvocato Fontanini, “pur essendo previsto, quale estensione di una normativa in materia di associazione mafiosa non è applicato”.
Le misure cautelari e di prevenzione, che già di per sé aumentano l’aggressività, del violento vengono prese nel corso del contraddittorio del procedimento e comportano inevitabilmente un tempo per tutelare l’indagato e non rischiare strumentalizzazioni. Una volta ottenuto un provvedimento cautelativo poi, “la vittima di violenza – prosegue l’avvocato Fontanini – può chiamare le Forze dell’ordine ogni volta che l’uomo le si avvicina ma nessuna di loro può contare su una scorta o su una pattuglia pronta a dirigersi tempestivamente a casa sua. Lo ribadisco ancora una volta, se ci fosse personale maggiormente specializzato nel valutare le condizioni psicologiche delle persone per compiere una valutazione prognostica più precisa forse non assisteremmo a gesti estremi, pur nella consapevolezza che certi impulsi sono difficilmente prevedibili ed evitabili. Serve più specializzazione e forse maggiore sensibilità verso ogni forma di violenza: i giudici dei Tribunali dei Minori vengono affiancati da educatori e psicologi, perché non farlo anche in materia di violenza di genere?”.
Il rischio di errori giudiziari è infatti dietro l’angolo, “così come vi sono persone vittime di violenza che difficilmente denunciano, dall’altra assistiamo a una crescente strumentalizzazione di Codice Rosso. Il meccanismo del provvedimento legislativo infatti ha immediate ripercussioni anche in sede civile e possono essere utilizzate in modo proficuo in sede di separazioni complesse soprattutto per quanto attiene i minori e i mantenimenti di carattere economico. Ci sono uomini che al termine del procedimento penale sono assolti con formula piena ma che nel frattempo si ritrovano in sede civile con le spalle al muro, privati dei loro figli e dei diritti di cui dovrebbero godere. A mio parere anche questa è violenza ma oggi i rapporti di forza si giocano su mantenimento e permanenza dei minori e le donne godono ancora di un certo favore in sede di giudizio”.
Tante vittime, soprattutto di violenza psicologica, non denunciano per paura o per rassegnazione: “le donne si sentono stritolate. Molte di loro non sono disposte a raccontare alla Polizia, al Pm, ai Servizi sociali (qualora vi siano minori vengono immediatamente allertati per valutare anche l’adeguatezza genitoriale della madre) e, ancora, durante il pubblico di dibattimento, quanto hanno vissuto ma la cosiddetta vittimizzazione secondaria, che consiste proprio nel rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato, è intrinsecamente legata alla denuncia, a garanzia di tutte le persone coinvolte. Queste vittime preferirebbero scomparire e temono ogni tipo di sovraesposizione. Altre donne invece non denunciano poiché non sono in grado di riconoscere i segni stessi di un rapporto patologico. Donne che, spesso, confondono il controllo ossessivo e la gelosia con l’attaccamento, l’amore. In questi casi il gap è certamente di natura culturale e forse è questa la vera questione. Il diritto penale deve sanzionare le condotte illecite, non ha e non può avere una funzione moralizzatrice o educatrice della società, che avendo perso altri punti di riferimento si aspetta dal giudice soprattutto penale tale ruolo. La giustizia esiste ma arriva con grande ritardo, talvolta con troppo ritardo. Serve un’evoluzione culturale in questi tempi difficili. Serve la capacità delle donne di riconoscere i segni della violenza e dei rapporti malati, serve il rispetto di sé. Un rispetto che non fa accettare condotte violente e che ci pone in modo leale ed egualitario, scevri da rapporti di forza, sullo stesso piano degli uomini nella promozione delle reciproche diversità e della complicità nei rapporti, siano essi d’affetto e di coppia o di lavoro. Il diritto disciplina ambiti di vita, spazi di libertà e, giustamente, ne sanziona le distorsioni, ma non possiede la bacchetta magica, il lavoro più grande credo lo debba fare ciascuno di noi, compiendo un poderoso cambio di passo a livello culturale e il legislatore seguirà. Da anni assistiamo a una proliferazione di normative ma non esiste una reale promozione della personalità dell’individuo, del suo valore”, conclude l’avvocato Fontanini.
Jessica Bianchi