Siamo sicuri che funzionerà? Il PNRR sarà veramente il nuovo miracolo italiano?

La rubrica di PAP20

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Il Piano nazionale di resistenza e resilienza (Pnrr) si basa su un dispositivo con linee guida molto rigide e uniformi per tutti i Paesi europei: sei pilastri su cui gli Stati membri sono chiamati a intervenire per impostare la loro ripresa e la loro resilienza, ma così facendo si ritroveranno a compiere scelte molto simili indotte dalla Commissione. È proprio questo il primo aspetto critico del Pnrr: se ogni Paese investirà le risorse a disposizione nei medesimi settori, senza diversificare gli investimenti in più aree di sviluppo, il rischio è quello che nel prossimo futuro si dia vita ad agglomerati industriali in concorrenza tra loro all’interno della stessa Unione europea. Che senso ha stimolare la competizione all’interno dello stesso blocco? Qualcuno la vincerà ma qualcun altro si ritroverà col sistema imprenditoriale disintegrato: è così che si concretizzano gli ideali europei di condivisione e cooperazione?

C’è un altro aspetto particolarmente critico: a disposizione non ci sono ingenti risorse. Per un Paese come l’Italia, che nel 2019 aveva un Pil da circa 1.700 miliardi, di cui 800 miliardi di spesa pubblica, a conti fatti, ci sono a disposizione 4,5 miliardi all’anno, dal 2022 al 2027, di risorse aggiuntive rispetto al bilancio, troppo poco per cambiare i connotati al Paese e parlare di svolta. Se l’Europa è convinta che ci sia bisogno di dare una spinta non può pensare di farlo attraverso il sistema di tassazione comunitaria per poi ridistribuire risorse ai Paesi stessi. Se ci crede davvero perché non si fa carico del deficit? Non si parte da un contesto in cui viene immessa nuova moneta e c’è voglia di investire. La Banca centrale europea, oltre a togliere e mettere lo spread, che fa?

Infine, in base al dispositivo europeo, il governo ha previsto investimenti indirizzati a tecnologie e linee di sviluppo che, purtroppo, non sono sviluppate nel nostro Paese costretto a rivolgersi all’estero, in Unione Europea, ma anche in Cina. Insistere sul green senza produrre in Italia moduli fotovoltaici e batterie, già rappresenta una criticità visibile oggi con la carenza di materie prime. La rinascita e la resilienza italiane possono dipendere dalla Cina??

Altra voce di spesa importante è rappresentata dalle Infrastrutture ma già oggi in piena crisi energetica per la carenza di materie prime si vedono le difficoltà. Inoltre, si tratta di infrastrutture concepite cinquant’anni fa e il sistema della mobilità è ancora oggi in forte evoluzione e trasformazione.

L’Italia ha necessità specifiche di investimenti che potrebbero avere moltiplicatori importanti ma sono ‘minimizzate’ dal Pnrr.

Innanzitutto, considerando il contesto sanitario attuale post pandemia e gli scenari di future emergenze, cosa abbiamo investito con il Pnnr? Nove miliardi cioè un’inezia se la cifra viene suddivisa in sei anni.

Se poi si considerano i plus del Belpaese che può vantare un patrimonio culturale da valorizzare e manutenere e intorno a cui generare un sistema turistico mondiale, cosa ha previsto il Pnrr? Due lenticchie.

E ancora: la nostra penisola per la sua morfologia è più esposta di altri Paesi a dissesto idrogeologico e, sebbene non si faccia altro che parlare di clima, risorse per 2,5 miliardi in sei anni è a malapena a quello che serve per la condotta ordinaria, figuriamoci se ci sono due terremoti in quei sei anni li…

Il nostro Paese ha plus specifici su cui puntare per elaborare un piano di ripresa: non possiamo permetterci di far crollare il Colosseo o far andare sott’acqua Venezia.

Intanto si prosegue con la politica dei tagli e della tassazione, ridimensionando gli incentivi o rimodulandone la scadenza: domani ci chiederemo perché andiamo in recessione senza sapere come ci siamo arrivati…

Lo abbiamo già visto con Monti: l’Europa chiede e noi siamo pronti a tagliare per darle 20 miliardi come contribuzione perché poi l’Europa ci restituisca i soldi per farci fare gli investimenti che ritiene prioritari.

La digitalizzazione e le infrastrutture? Servono solo alle grandi multinazionali, non è quello che abbiamo che avremmo deciso noi europei se fossimo stati interpellati. E ci viene servito su un piatto d’argento come se fosse un’opportunità.

PAP20