Era il 3 gennaio 1983 quando la rivista Time assegnò per la prima volta nella sua storia il Premio di persona dell’anno non a un essere umano bensì al personal computer. Quella copertina sancì una svolta epocale, l’inizio di una rivoluzione tecnologica che ci avrebbe traghettato verso il mondo nuovo, veloce e leggero dell’Intelligenza Artificiale. Con il tempo l’IA è diventata una forma di intelligenza diversa, che partendo dai dati e dall’esperienza è capace di imparare e quindi di parlare, vedere, sentire, guidare, muoversi e interagire con gli esseri umani. Lavora con l’uomo nella medicina elaborando migliaia di immagini, nell’industria, nella finanza, supporta persino la sicurezza nazionale. Rita Cucchiara, professore ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari dell’Università di Modena e Reggio, dove insegna Visione Artificiale e Sistemi Cognitivi, nonché una delle massime esperte italiane nel campo dell’Intelligenza artificiale e della robotica, ha da poco dato alle stampe il libro L’intelligenza non è artificiale (Mondadori). Un libro che racconta la storia e l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale dalla voce di chi la sta progettando giorno per giorno nei centri di ricerca italiani e spiega come questa sia frutto del pensiero, del controllo e del comportamento umano. La professoressa, presentandolo on line nell’ambito della rassegna Forum Eventi organizzata da BPER Banca, con il patrocinio del Comune di Modena, ha fatto il punto sulle nuove frontiere di una ricerca che interessa e attraversa ogni campo dello scibile umano.
“L’intelligenza artificiale – ha spiegato Rita Cucchiara – è una disciplina informatica che definisce modelli e crea sistemi che hanno comportamenti intelligenti. Sistemi in grado di capire il proprio ambiente, di interagire con esso e di intraprendere azioni, fisiche come nel caso di un robot o virtuali come ad esempio Amazon che ci suggerisce cosa comprare. L’IA non vuole più per forza imitare un essere umano, siamo andati oltre: oggi siamo di fronte a sistemi che vogliono avere un comportamento intelligente come molti sistemi biologici caratterizzati dalla capacità di risolvere – in modo automatico – i problemi che si presentano via via nel loro mondo naturale”.
L’intelligenza artificiale ormai permea ogni campo, dalla salute alla società, dall’ambiente alle infrastrutture, dalla finanza all’industria, dall’agricoltura all’energia. “E’ buffo che nel nostro Paese non si parli di IA per il web – prosegue Cucchiara – dal momento che le più grandi aziende del mondo, ovvero Apple, Google, Microsoft, Amazon e Facebook, vivono proprio di intelligenza artificiale. Noi siamo letteralmente immersi nelle IA, una tecnologia né buona né cattiva ma che va usata al meglio e controllata dall’essere umano”.
Un affascinante campo di applicazione di questa disciplina informatica è certamente quello dell’arte e, in particolare, della computer vision.
“Ci siamo divertiti a trovare un collegamento tra i volti delle persone e quelli ritratti nei dipinti rinascimentali e barocchi. Trovare un sosia in un quadro del Cinquecento è diventato un apprezzato gioco in occasione del Festival filosofia dello scorso anno. Aldilà dell’aspetto ludico però, è importante capire come estrarre conoscenze in modo automatico dalle immagini, comprese quelle dei quadri. O, ancora, sarebbe utile che questi sistemi fossero in grado di leggere ed elaborare l’antica scrittura dei manoscritti, preziosi strumenti di studio. Non si tratta di un vezzo: l’industria culturale e creativa sta fornendo un grande business nel mondo e occorre investirvi, anche in Italia”, sottolinea la professoressa.
Questi sistemi, prosegue Cucchiara, “non sono né magici né completamente automatici. Per essere progettati hanno bisogno di dati, siano questi di carattere medico, industriale o artistico, e dunque per imparare necessitano di noi umani. Di buoni maestri oserei dire”.
L’IA come tutte le nostre tecnologie non era pronta ad affrontare la pandemia ma, prosegue Cucchiara, “nell’ultimo anno ha fatto passi da gigante sul fronte della diagnosi, della prognosi e dell’organizzazione”.
Ma se l’intelligenza artificiale della salute è certamente uno dei versanti di ricerca più importanti su cui lavorare, “abbiamo bisogno che anche in Italia vi sia un’industria informatica sempre più forte e capace di fare ricerca e dare così gambe a nuovi prodotti. I campi di applicazione sono pressoché infiniti. L’auspicio è quello di assistere a un risveglio delle aziende: chi vuole lavorare con l’IA deve diventare grande per poter essere competitivo a livello internazionale e contribuire così a distribuire ricchezza e ad assicurare maggiore equità sociale anche nel nostro Paese”. Il posto c’è, basta volerlo.
Jessica Bianchi