La scuola non si ferma

In classe si cresce ed è attraverso la relazione, i legami, gli affetti che passano gli apprendimenti. A raccontare questi primi mesi di scuola sono le voci di Rossella Cestari (scuola primaria), Daniela Pellacani (scuola secondaria di primo grado) e Giovanna Fontana (scuola secondaria di secondo grado).

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Rossella Cestari, elementari

In questi mesi non è mancata l’attenzione da parte del Ministero dell’Istruzione che ha stanziato risorse per potenziare la dotazione di dispositivi che le scuole possono concedere in comodato d’uso ma, a fronte delle criticità che permangono, “condivido la scelta di non introdurre la didattica a distanza nella scuola primaria” sostiene Rossella Cestari, insegnante della Scuola Collodi, del Comprensivo Carpi 3 impegnata nel Piano Nazionale Scuola Digitale, tutor formatore dei docenti neoassunti, sezione H nell’ambito della sostenibilità. “I bambini non sono in grado di gestire device in autonomia e con consapevolezza come già succede alle medie e alle superiori e hanno bisogno di un genitore accanto: viene meno quel contesto di comunità che fa crescere perché mancano gli stimoli che derivano dal cooperare insieme: i bambini hanno bisogno di stare insieme, di crescere insieme in un rapporto fra pari dove l’adulto ricopre il ruolo di “regista”. In un contesto come quello familiare, isolato durante il lockdown, non tutti i bambini hanno trovato stimoli sufficienti, mentre “a scuola sono tutti sulla stessa linea di partenza, tutti uguali nella possibilità di interagire tra loro e crescere ed è attraverso la relazione, i legami, gli affetti che passano gli apprendimenti. Oggi la didattica in presenza è per lo più frontale ma è sempre preferibile alla didattica a distanza e attraverso alcuni accorgimenti riusciamo a far interagire i bambini fra loro”. Il disorientamento è stato evidente al rientro in classe a settembre. “Cinque mesi di scuola in DAD si fanno sentire: i più piccoli hanno faticato a riprendere le routine , hanno avuto difficoltà ad affrontare l’organizzazione dei tempi. Abbiamo dato loro serenità attraverso le routine quotidiane: la lettura dell’alfabeto ,l’animazione alla lettura, il racconto dei loro vissuti I due pupazzetti un po’ addormentati che tengo nella borsa e che a turno i bambini della seconda classe tirano fuori al mattino, ricordano loro che non siamo più in didattica a distanza, siamo di nuovo qui, in classe, di nuovo insieme. C’è da riconquistare quella familiarità della scuola che avevano perso”. Sebbene siano bimbi piccoli si sono mostrati estremamente attenti negli atteggiamenti e “pur di stare insieme e dialogare accettano di buon grado di portare la mascherina. Loro si cercano e solo quando c’è gioia di stare insieme c’è apprendimento. E’ una scelta rischiosa quella di mantenere la scuola primaria in presenza, quando entro a scuola spero che vada tutto bene ma il pensiero va alla voglia di relazione e di dialogo che hanno e a quanto hanno sofferto per quel periodo chiusi in casa”. “A noi insegnanti spetta il compito di far sentire  la classe  come luogo sicuro in cui poter condividere con il gruppo i propri vissuti, dobbiamo creare le condizioni per un clima sereno e un contesto di fiducia in cui sentirsi collaborativi. L’esperienza vissuta durante il lungo periodo di lontananza dalla scuola, serve a ricordarci le sfide di questo tempo e la bellezza di affrontarle insieme. L’invenzione giornaliera di giochi che permettano di divertirsi mantenendo il distanziamento, diventano così strategie che aiutano a riflettere e al tempo stesso alleggerire il clima necessariamente “iper-normato”.

Daniela Pellacani, medie

La classificazione in zona gialla scongiura l’introduzione della didattica a distanza anche per le seconde e terze medie ma Daniela Pellacani, insegnante presso la Scuola Guido Fassi, non nasconde la preoccupazione ben consapevole delle ricadute sui ragazzi che “risentono di ogni giorno di scuola perso, non solo sul piano delle conoscenze, del metodo di lavoro e delle opportunità di apprendimento ma dal punto di vista della crescita che avviene attraverso il confronto”. L’introduzione della didattica a distanza costringe ad alleggerire le ore di insegnamento per non costringere i ragazzi a restare incollati allo schermo per l’intera mattina e, per quanto l’insegnante possa essere preparato, alle medie non funziona, “nonostante l’Emilia Romagna fosse già pronta alla rivoluzione tecnologica a scuola, soprattutto nella nostra zona dove, in conseguenza del terremoto, erano stati messi in campo corsi per docenti e resi disponibili i dispositivi grazie al sostegno di partner privati e con il supporto del Servizio Marconi sul fronte delle tecnologie per la didattica”. Eppure, “abbiamo visto i ragazzi perdere progressivamente interesse e le classi sfaldarsi per la mancanza di confronto all’interno. Io lavoro da tanti anni su lettura e scrittura perché parlare di quello che si fa e si vive è fondamentale ma i ragazzi, chiusi in casa durante il lockdown, si sono spenti e hanno staccato il cervello a febbraio dell’anno scorso. Stiamo parlando di ragazzini di dodici anni che dovrebbero sprizzare di entusiasmo”. Mancando per diversi mesi passaggi che sono fondamentali a questa età, a settembre si sono presentati in classe e alla loro età anagrafica non corrispondeva un progresso nella maturità come persone. “Faccio parte di un corpo docente eccezionale ma all’inizio dell’anno scolastico ci siamo resi conto che le cose fatte in didattica a distanza erano scivolate via. Ma chi avete avuto l’anno scorso? Ah… io”. Daniela non è d’accordo con chi sostiene che si sta vendendo la retorica della presenza: l’insegnamento viene dalla relazione. “Quando guardiamo al nostro passato è attraverso la relazione che un insegnante ci ha fatto svoltare”. Poi ci sono i problemi pratici di famiglie che non possono far altro che lasciare a casa i figli da soli o con più figli ma un solo computer disponibile o genitori che non sanno attivare un contratto wifi e famiglie che, per pudore, non avanzano richieste: “in questi casi, se si interrompe il dialogo coi ragazzi, li perdiamo e spariscono”. “Infine – conclude Daniela Pellacani – questo è il periodo dell’orientamento scolastico per la scelta della scuola superiore che già di per sé è un buco nero: il rischio è quello di sacrificare il futuro di questi ragazzini con scelte sbagliate a cui non si dovrà nemmeno porre rimedio con il ri-orientamento se saranno tutti promossi”. I docenti sono consapevoli della gravità della situazione ma chiedono alle amministrazioni di non scordare che la scuola è un diritto.

Giovanna Fontana, superiori

La buona notizia, per Giovanna Fontana, docente di Biologia all’Istituto Tecnico Leonardo Da Vinci, è che il nuovo DPCM non preclude la possibilità di effettuare i laboratori in presenza: fisica, chimica, tecnologie informatiche e disegno per il biennio, le materie di indirizzo per il triennio. “I laboratori sono fondamentali nella didattica per competenze e i ragazzi sono molto motivati e felicissimi di avere questa opportunità. Un giorno alla settimana in ogni classe sarà dedicato alle attività di laboratorio in presenza, mentre per le classi quinte sono previsti due giorni. E’ l’organizzazione che la scuola si era data già con l’introduzione della didattica a distanza al 75% dell’orario scolastico. Durante il lockdown le materie di laboratorio sono quelle che sono state maggiormente penalizzate” commenta Fontana. Era stata lei l’insegnante che aveva lanciato a settembre online su Change.org la petizione indirizzata al Ministero dell’Istruzione per chiedere di fare lezione con metà classe in presenza e metà collegata online a settimane alterne per ridurre l’affollamento in classe e, di conseguenza, sugli autobus. Questa scelta avrebbe forse ritardato di un po’ la didattica a distanza (DAD). I ragazzi “ci confidano che alla maggior parte di loro la didattica a distanza (DAD) non piace proprio, è più duro seguire le lezioni da casa perché non riescono a trovare uno spazio adatto e tranquillo, hanno troppe distrazioni e fanno fatica a concentrarsi. A loro chiediamo di tenere sempre accesa la telecamera, ma spesso non lo fanno. Fare didattica a distanza è un eufemismo, manca tutta la comunicazione non verbale e paraverbale e poco resta di quello che viene detto dall’insegnante che appare sullo schermo di un computer”. Molti alunni non possedevano gli strumenti per seguire la DAD. Grazie ai finanziamenti PON sono stati acquistati nuovi computer portatili, tablet, videocamere e modem da assegnare in comodato d’uso. A preoccupare sono anche altri aspetti: “Il primo trimestre si conclude a fine dicembre ed entro quella data dobbiamo raccogliere tutti gli elementi per poter arrivare alla valutazione finale”, ma le verifiche da casa sono complicate e serve una maturità da parte dei ragazzi e una collaborazione notevole anche da parte delle famiglie: i suggerimenti infatti spesso compromettono l’attendibilità delle prove.   “Dobbiamo autoaggiornarci e imparare a insegnare in modo diverso, ben consapevoli dell’importanza del nostro ruolo cercando di sfruttare la tecnologia che comunque ci permette di lavorare lo stesso con i ragazzi. E direi che non è poco in una situazione di emergenza sanitaria”.

Sara Gelli