Il Comune lancia il cohousing solidale per le famiglie sfrattate con minori

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Fino a pochi mesi fa era solo una casa sfitta tra le tante. Oggi, invece, questa grande casa nella periferia carpigiana, ospita due famiglie con bambini. La potremmo ribattezzare la Casa delle opportunità: cinque camere da letto, cucina comune, salotto, garage e un grande giardino. Non è la prima casa dove il Comune di Carpi sperimenta del cohousing solidale, ma è la prima volta che i destinatari del progetto sono le famiglie con minori sfrattate dai loro appartamenti, nuclei dunque con un temporaneo disagio economico, ovvero quella fascia sociale “a povertà relativa”, che  ha i requisiti per una  presa in carico da parte dei Servizi Sociali ma non  le risorse sufficienti per pagarsi un affitto sul libero mercato, tenuto conto anche della  diffusa indisponibilità di alloggi in locazione.  “Grazie al 5 permille dei cittadini carpigiani e altre risorse, l’ottobre scorso abbiamo preso in affitto questa casa per i prossimi tre anni. A gestire lo spazio è Acer e per accedervi – spiega l’assessore alle Politiche Sociali, Daniela Depietri – occorre possedere dei requisiti precisi: aver subito uno sfratto e avere dei figli minorenni a carico, da sempre nostra massima priorità. Questa esperienza di cohousing costituisce una risposta, seppur parziale, al tema dell’emergenza abitativa”. Dopo aver sistemato lo spazio e aver stilato l’accordo con Acer, ora in casa vive “una famiglia con due bambini di cui uno disabile mentre un’altra famiglia con un figlio sta per entrare”, prosegue l’assessore. In attesa vi sono già altri nuclei, d’altronde, negli ultimi tre mesi, sono già una decina le famiglie con bimbi piccoli sfrattate e che si sono ritrovate senza un tetto sopra la testa. “Alcune di queste trovano ospitalità presso amici e famigliari  o presso connazionali… il nostro obiettivo è quello di tentare tutte le strade possibili per rispondere all’emergenza. Il cohousing rappresenta l’ultima carta da giocare”. La convivenza, infatti, può essere complessa e per “favorirla, cerchiamo di unire persone compatibili. Questo implica una conoscenza profonda delle famiglie seguite per limitare tensioni e criticità”, aggiunge Daniela Depietri. Affinché tutto funzioni le famiglie ospiti, seguite da un educatore, devono attenersi a delle precise regole di “buon vicinato” per rendere così la coabitazione il più indolore possibile: “dalle pulizie alla gestione della cucina, tutto dev’essere perfettamente organizzato. Nell’intervento dell’educatore è anche previsto il supporto per la ricerca di un nuovo alloggio”, aggiunge Depietri. Ed è proprio questa la forza del cohousing, strumento flessibile, rispetto all’Erp, poiché non regolamentato da leggi nazionali e regionali.
Il vantaggio economico è enorme, per non parlare dell’aspetto umano e delle potenziali ricadute sociali. Ma attenzione, il cohousing, infatti, non fa rima con assistenzialismo: l’obiettivo è il riscatto dei protagonisti. “Le famiglie possono restare da uno a un massimo di due anni, si fanno carico delle utenze e pagano un affitto sociale di 70 euro, ovvero il canone più basso versato anche da coloro che vivono nelle case di edilizia popolare”.
Il cohousing è in grado di offrire sollievo alle famiglie, dando loro il tempo necessario per risollevarsi e riprendere in mano la propria vita. In numerose città italiane questo modello sta prendendo sempre più piede e veri e propri condomini della solidarietà fioriscono ovunque. Esperienze residenziali non definitive ma capaci di dare una boccata d’ossigeno a persone strozzate dalla morsa della crisi, a fragili, disabili… Spazi in cui ciascuno dà una mano ai propri “compagni”, con responsabilità e senso civico. Emergenza abitativa a parte, a fronte di una popolazione che invecchia sempre più, il cohounsig può rappresentare una risposta efficace: vedovi e vedove che si ritrovano soli a vivere in grandi case potrebbero mettere a disposizione parte di tali spazi a degli inquilini del tutto particolari.
Persone che, oltre a dare una mano nel pagamento delle utenze, potrebbero aiutare questi anziani nelle faccende domestiche, nel fare la spesa…
Generazioni diverse sotto lo stesso tetto insomma per aiutarsi a vicenda, ridurre le spese ma soprattutto far nascere quel senso di “piccola comunità” che fa sentire tutti meno soli e quindi più felici.
Jessica Bianchi

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