Non cadiamo nella trappola della superdonna

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Novità in arrivo per le future mamme lavoratrici: la Legge di Bilancio 2019 prevede – previo via libera del medico – la possibilità di rimanere al lavoro fino al nono mese di gravidanza, prolungando così tutto il periodo di astensione in congedo maternità di 5 mesi a dopo il parto. L’idea di portare il pancione al lavoro sino all’ultimo momento ha scatenato un acceso dibattito: salutata da molti come una conquista, per altri tale opportunità rappresenta un sottile ricatto. Ad accendere la miccia ci ha pensato Giuseppe Battagliarin, ginecologo e presidente della commissione nascite dell’Emilia-Romagna, che in un post su Facebook invita le puerpere a non fare le superdonne. “Per voi – scrive –  quest’anno si apre all’insegna della conquista di nuove libertà (o forse di antiche schiavitù). Finalmente potrete lavorare, con l’approvazione formale dell’INPS, fino all’inizio delle contrazioni del travaglio o alla rottura delle membrane… Invece di immaginare che avreste tratto grande giovamento dalla concessione di un mese in più di congedo retribuito, dopo la nascita del figlio, vi è stato tolto il diritto di godervi l’ultima parte della gravidanza assaporando il piacere di prepararvi a essere madri pur di poter prolungare il periodo di puerperio di un mese in regime di retribuzione”. L’assessore alle Pari Opportunità del Comune di Carpi, Stefania Gasparini non nasconde la propria contrarierà: “ritengo che, così fatta, questa modifica sia sbagliata. Se è vero che la gravidanza non è una malattia e che moltissime donne, me compresa, hanno lavorato fino all’ultimo mese perché godevano di buona salute e avevano una professione che glielo consentiva, questa modifica è tutta a carico della lavoratrice che rischia così di trovarsi di fronte a un ricatto. Troppo spesso, la scelta di quanto e come lavorare, non è completamente in capo al lavoratore e da qui deriva il forte rischio di trasformare la possibilità prevista in un obbligo. Così come è vero che 3 mesi di maternità dopo il parto spesso risultano insufficienti, considerando lo stato dei servizi all’infanzia in gran parte del nostro Paese. L’idea di far scegliere alle donne quando assentarsi prima del parto è sicuramente il modo peggiore di affrontare una questione assai complessa come quella della maternità per le donne lavoratrici. Prima andrebbero adeguati i servizi e cambiata la normativa sul lavoro. Ma, soprattutto, andrebbe cambiata quella mentalità che considera le madri lavoratrici delle mamme o delle professioniste a metà, a seconda dei punti di vista. Al contrario una mamma che lavora è una donna che moltiplica tutto. Ha quindi ragione Battagliarin quando dice di non cadere nella trappola della ‘superdonna’. Noi dobbiamo essere semplicemente donne e le donne, se vogliono, fanno figli.  Occorrerà che tutti se ne facciano una ragione. Un governo non aiuta le donne con un mese in meno di maternità, ma con servizi in più”. Della medesima opinione anche Gabriella Contini, del Centro Italiano Femminile, che ribadisce come “con questo provvedimento del Governo si svalutano importanti diritti conquistati in passato dalle donne. Lo spirito, ancora una volta, è quello di un orientamento individualista e non quello di una tutela sociale della maternità, con la conseguente svalutazione dei significati simbolici legati all’evento. Per pensare ai cambiamenti che avverranno, prepararsi come coppia, attrezzare la casa, frequentare i corsi pre-parto occorre tempo. In sostanza non è una conquista, ma una regressione culturale e simbolica”.  Una cosa è certa, ognuna saprà in cuor suo qual è l’opzione migliore: se portarsi al lavoro il pancione fino all’ultimo momento o se prepararsi all’appuntamento tanto trepidamente atteso tra le mura domestiche.
Jessica Bianchi

 

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