La cultura contro il Negazionismo

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“Negazione, revisione, rimozione: attorno a questi termini si svolgono da anni, in tutto il mondo, history wars, guerre di interpretazione su eventi drammatici e luttuosi, che non riguardano solo gli storici ma, spesso, governi e Stati, popoli e minoranze, vittime e carnefici. All’interno della memoria pubblica la questione del negazionismo ha acquistato, con gli anni, sempre più spazio. La conoscenza storica è stata spesso manipolata, travisata, riabilitando o condannando per interessi politici, ideologici, statali”. Nella conferenza Negazionismi: una mappa globale, lo storico Marcello Flores ha più volte ribadito come il negazionismo, “tema che irrita fortemente gli storici”, si situi “in una realtà in cui, spesso, il peso della memoria è maggiore di quello della storia”. Una presenza, quella del testimone, “che ha comportato, spesso, un rifiuto della verità fattuale”. Di negazionismo in senso stretto, ossia di storici che negano realtà assodate e riconosciute da tutti, Flores cita il caso della Shoah, “venuto alla ribalta negli Anni Settanta e poi amplificato negli Anni Novanta: dall'ex deportato politico a Buchenwald, Paul Rassinier, a Robert Faurisson, a David Irving. Per loro i campi di sterminio, le camere a gas e l’uccisione di sei milioni di ebrei costituirebbero una menzogna. Una leggenda”. Ma di negazionismi si può – e si deve – parlare al plurale poiché sono in tanti a “negare che un fatto sia accaduto così come altri rifiutano la definizione di genocidio per quel fatto”. Flores traccia poi una mappa globale dei negazionismi più diffusi: dal genocidio degli armeni a opera della Turchia iniziato nel 1915 al massacro di Nanchino perpetrato dall'esercito giapponese nel 1937. E, ancora, “la carestia in Ucraina nel 1932-33, che causò la morte di almeno 5 milioni di persone in seguito a direttive politiche del regime staliniano per piegare l’opposizione contadina alla collettivizzazione e la ripresa di movimenti nazionalistici. La rivendicazione dell’Holodomor (l'uccisione per fame) come genocidio o crimine contro l’umanità è ormai largamente accettata, ma vi sono ancora forti resistenze a riconoscerlo — e ad ammetterne la matrice politica — soprattutto in Russia”. L'elenco è lungo: dalle vittime del comunismo nel sistema del Gulag all'uso del gas da parte dell'aviazione italiana in Etiopia durante la colonizzazione. Dal genocidio in Cambogia a opera del regime dei Khmer Rossi al massacro di Piazza Tienanmen, peraltro ancora negato dal Governo Cinese, da quello dei Tutsi in Ruanda a quello dei palestinesi negli Anni Ottanta durante la formazione dello stato d'Israele. Ai negazionismi di Stato se ne somma poi uno di tutt'altra natura: la rimozione. “Crimini messi sotto silenzio, nascosti per anni, per vergogna. Un esempio? Le donne di conforto coreane schiavizzate dai soldati giapponesi per soddisfare i propri appetiti sessuali”. Contro le negazioni più eclatanti, “ovvero l'allunaggio e l'attacco alle torri gemelle a New York”, prosegue Marcello Flores, così come le invenzioni storiche più famose, “basti pensare ai falsi diari di Mussolini per citare un caso tutto italiano”, l'unica arma a disposizione è la cultura, non una punizione prevista per Legge. “Punire non serve a nulla, anzi può essere controproducente perché richiama l’attenzione, crea delle vittime della libertà d’espressione proprio tra chi offende l’espressione e l’informazione, perché fa credere che misure giuridiche possano sopperire all’educazione. Contro il negazionismo possono valere solo l'educazione, la creazione di coscienza, l’elevamento del livello di conoscenza medio sia da un punto di vista storico che morale”.

Jessica Bianchi

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