Casa, è emergenza: l’ostello tra le possibili soluzioni per alleviare il disagio abitativo

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L’inalienabile diritto ad avere un tetto sopra la testa è, per molte famiglie, una vera e propria spada di Damocle. Sì, perché la casa costa. E molto. In città sono sempre più numerose le persone che non riescono a onorare le rate del mutuo o le spese legate all’affitto a causa della perdita del lavoro, dell’insorgenza di una malattia invalidante o di una separazione difficile. I contorni dell’emergenza abitativa sono drammatici: aumentano gli sfratti e, purtroppo, alcuni padri separati, strozzati dalle spese, sono costretti a dormire in auto. Una questione complessa, quella dell’abitare, che è stata al centro dell’ultimo tavolo di lavoro per la costruzione partecipata del nuovo Piano sociale di Zona, lo scorso 29 gennaio. La casa come fattore di inclusione e benessere sociale: questo il tema sul quale una quindicina di cittadini e operatori si sono interrogati per tentare di trovare delle soluzioni innovative tese a rispondere a un bisogno crescente a fronte di un’offerta deficitaria. “Il diritto alla casa, pilastro stesso della società, è una materia spinosa, di quelle che fanno tremare i polsi”, spiega in apertura l’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Soliera, Andrea Selmi. “Quali sono gli spazi vuoti da riempire?  
Quali provvedimenti occorre adottare per offrire risposte tempestive e puntuale?” chiede ai partecipanti Barbara Papotti, responsabile dell’Ufficio Area inclusione sociale e casa. Nella nostra città gli alloggi Erp – edilizia residenziale pubblica – sono 628: ogni anno circa 450 persone fanno domanda per potervi entrare ma solo 30-35 di loro ce la fanno, poiché il turn over all’interno delle case popolari è sostanzialmente inesistente. Un’immobilità a cui si unisce anche l’inadeguatezza del numero degli appartamenti Ers – edilizia residenziale sociale – ovvero una ventina di alloggi privati con canoni calmierati, grazie alla mediazione del pubblico, a fronte di un’ampissima disponibilità di appartamenti sfitti o invenduti. La parola chiave della serata è stata coabitazione. “Potrebbe essere utile istituire degli alloggi di rotazione, non legati all’emergenza, bensì di accompagnamento temporaneo al bisogno. Attraverso Acer, l’ente pubblico potrebbe unire persone o piccoli nuclei con le medesime esigenze affinché dividano le spese”. E, ancora, è stata lanciata l’idea di creare “esperienze mutualistiche. Una sorta di micro comunità capaci di mettere in circolo le proprie risorse”. “Le persone sole, dai single ai separati, agli anziani, potrebbero accedere ad alloggi a prezzi più bassi, grazie al coinvolgimento del Terzo Settore. Tramite delle convenzioni ad hoc con il Comune, le associazioni, in cambio della gestione, si farebbero carico della ristrutturazione dei tanti edifici inutilizzati o fatiscenti presenti nel nostro territorio per mettere a disposizione alloggi a prezzi bassi”. Il Comune da solo non è in grado di risolvere il problema della carenza di alloggi ma non può nemmeno voltare la faccia dall’altra parte: “abbiamo un ostello occupato da Aimag da ormai cinque anni. Non siamo più nella prima emergenza legata al terremoto e quella struttura potrebbe essere perfetta per offrire una soluzione a chi non ha un tetto sulla testa”.  Parliamoci chiaro, Carpi non ha bisogno di una struttura ricettiva per giovani: perché dunque  non convertire quello spazio in una sorta di Ostello sociale rispondendo così, seppure in parte, a un’emergenza dai contorni concreti? “L’ente pubblico poi, potrebbe creare un soggetto ad hoc per accedere alle aste giudiziarie e mettere a disposizione delle giovani coppie o delle famiglie più fragili appartamenti a prezzi inferiori a quelli del libero mercato. In questo modo si creerebbe una sorta di fascia intermedia tra l’Erp e l’Ers ad oggi inesistente”.
Sotto accusa anche il mancato sfruttamento del Prg per allargare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica e sociale: “uno strumento che, purtroppo, ci siamo già giocati”. Via libera anche alla creazione di condomini sociali, all’interno dei quali, “far convivere persone di età, capacità, bisogni e abilità differenti capaci di interagire e sostenersi l’un l’altro”. Sì anche all’unione di gruppi di famiglie in grado di “costruirsi una casa con le proprie mani”. Numerose le idee sul tavolo ma dove reperire le risorse? E, soprattutto, come far sì che i privati si assumano le proprie responsabilità riconoscendo il ruolo fondamentale che giocano in questa partita? “I soldi possono arrivare dall’Europa, dallo Stato, dalle Regioni e, perché no, dalle Municipalizzate. Aimag potrebbe reinvestire parte degli introiti sul tema della casa”. E, ancora, “perché non si inizia a tassare in modo crescente tutti coloro che tengono sfitti i propri immobili?”.
Jessica Bianchi