“La malattia è un fardello ma farei tutto daccapo”

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“Il primo ricordo delle avvisaglie della malattia di mia madre è stampato nella mia mente. Un giorno tornai a casa, ho lavorato per una vita come cuoca nelle scuole, e mia madre, davanti alla Tv, mi disse: Antonella Clerici mi ha chiesto di scaldare le lasagne che sono nel frigorifero… Può sembrare ridicolo ma fu spiazzante. Sconvolta chiesi aiuto al nostro medico di famiglia: gli domandai cosa stesse succedendo. Quello fu solo l’iniziò: era il 2001 e mia madre, Stellina,  aveva 77 anni”. La diagnosi arrivò, infausta, Alzheimer. A parlare è la carpigiana 61enne Angela Cugini: “per tredici anni mi sono presa cura di mia madre. Le sono stata vicina. Ricordo ogni istante: i primi segni della malattia, quando avviava la lavatrice a vuoto ad esempio, sino alla fine, quando non mi riconosceva più… Anche la morte di mio padre, malato di Parkinson la sfiorò soltanto. Ricordare è difficile ma oggi sono serena: ho fatto tutto ciò che potevo”. Convivere con un malato di Alzheimer mette a dura prova ma, ammette Angela, “conoscere la malattia mi ha permesso di accettarla e viverla in modo meno invasivo. Dopo la diagnosi sono entrata in contatto col Gafa e il gruppo è stato fondamentale, mi ha davvero salvata: scambiarsi i propri vissuti, le emozioni, le paure… aiuta a non sentirsi soli. Ovviamente il carico è pesante e fonte di stress: avevo le palpitazioni, soffrivo di insonnia… ma non mi sentivo abbandonata”.  Angela, che ha una sorella invalida, pur essendosi fatta carico della malattia di Stellina ha avuto il coraggio e la forza di chiedere aiuto: “mia madre era una persona buona. Gestibile. Ma da sola non potevo farcela. Arrivi a un punto in cui non puoi più nemmeno uscire di casa e il rischio di perdere amici e relazioni significative è dietro l’angolo”. L’unico modo per non ripiegarsi su se stessi è “aprire la porta della propria casa. Se tu non puoi uscire, allora sono gli altri che devono entrare”. Tredici anni di cura e di assistenza costanti sono stati “un fardello pesante – ammette Angela – ma oggi mia madre mi manca. E molto. Pensa che quando stava bene, non andavamo nemmeno d’accordo poi, però, la malattia ha cambiato tutto: quando aveva bisogno si faceva coccolare e l’amore che le ho dato è stato davvero infinito”. Stellina è morta due anni fa, nel 2014: “per due anni non sono riuscita a comunicare verbalmente con lei perché la malattia le aveva intaccato la capacità di parlare. E questo fu sicuramente lo stadio della malattia che mi fece soffrire maggiormente: non sapere come si sentisse, cosa desiderasse… Ogni tanto, tra le parole incomprensibili che biascicava, mi chiamava mamma, non mi riconosceva più ma, nonostante ciò, al suono della mia voce o a una mia carezza, sorrideva. Si tranquillizzava”. Angela, dopo la morte del padre, ha traslocato, cercando una casa a misura di malato. Tutto ruotava intorno alla madre ma Angela non si è mai lasciata andare alla disperazione. “Appena traslocammo, io e mia madre – che stava ancora piuttosto bene  –  ascoltavamo la musica e ballavamo persino, qui, in salotto… Lei adorava il liscio. Non appena arrivati nel nuovo appartamento, presi con noi una gatta, Stella. Un vero e proprio antidepressivo. Stella ha reso quei giorni più leggeri e quando mia madre, ormai ammutolita dall’Alzheimer, fu costretta a restare a letto, divenne una compagna preziosa”.
Il logorio e la frustrazione derivanti da un’assistenza serrata possono condurre ad atti estremi, come la cronaca ha purtroppo mostrato anche nella nostra città ma Angela non si piange mai addosso, al contrario: “io sono stata fortunata, non avendo una famiglia, sono riuscita a tenere mia madre con me… non sarei mai riuscita a metterla in una struttura! Avevo due signore italiane che mi aiutavano al mattino lasciandomi il tempo di sbrigare le mie faccende, fare la spesa, andare dal medico, passare in farmacia… tutto era un gioco a incastro ma se tornassi indietro rifarei tutto allo stesso modo”. Angela non rinuncia poi a una lieve stoccata: “in Emilia Romagna, sul fronte della cura, non possiamo certo lamentarci, ma credo sarebbe giusto rendere obbligatorio per le badanti dei veri e propri corsi di formazione su come gestire i pazienti. I malati di Alzheimer sono diversi dagli altri, hanno visioni, fissazioni, spesso faticano a comunicare… Chi sta loro accanto per assisterli deve imparare quanto siano vitali i gesti, il tono di voce, un sorriso… Non ci si può improvvisare”. Stellina è morta a novant’anni e sua figlia era al suo capezzale: “alla fine, ad accompagnarmi nei momenti più difficili c’era una persona straordinaria, il dottor Fabio Beltrami, capace di darmi la forza e la serenità necessarie per affrontare il fine vita. Per lui ci sarà sempre un posto nel mio cuore”.
Jessica Bianchi

 

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