Massimo Recalcati: L’elogio del fallimento

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“Il nostro, è il tempo dei corpi e dei pensieri costantemente in gara”. Queste le prime parole di Massimo Recalcati, vera e propria star del Festival Filosofia.  Un tempo connotato dalla “competizione permanente, dall’agonismo perpetuo, nel quale il principio di prestazione è un imperativo. Ci sentiamo obbligati a comportarci come macchine efficienti, a correre il più velocemente possibile”. Viviamo il tempo della Io-Crazia, direbbe lo psichiatra e filosofo francese Jacques Lacan. L’Io è diventato il nuovo idolo pagano poiché, come diceva Adorno, “questo è il tempo della monade, in cui tutti sono impegnati nella ricerca della propria autoaffermazione”. Un’epoca, la nostra, dove non vi è spazio per il “fallimento, lo spaesamento, l’inciampo. La crisi”. Ma l’esperienza del fallimento non è da rifuggire, prosegue Recalcati, poiché implica “un interrogativo sul senso della vita. Un’opportunità di trasformazione”. Un esempio?  La parola che fallisce – asseriva Freud è rivelatrice di una verità. “Il lapsus è un errore del linguaggio. Un inciampo della parola attraverso il quale la verità si manifesta”. Ma per la psicoanalisi l’occasione di mutamento per antonomasia è il sintomo, “il panico, l’insonnia, la sofferenza, la dipendenza…  là, dove vi è caduta, emerge con prepotenza la possibilità di incontrare la nostra verità. Solo attraverso l’errore e il fallimento vi può essere vita”. Poi, citando Hegel, Recalcati ricorda che “la peculiarità dell’esistenza, è l’erranza. Il cammino”. E rifacendosi alla parabola biblica del Figliol prodigo, prosegue affermando che “non vi può essere formazione senza viaggio, senza un allontanamento dalle proprie origini, dalla propria casa. La famiglia nutre la vita, ma questa non ha solo bisogno di appartenenza, esige di andare oltre”. Recalcati individua poi un paradosso: “malgrado questo sia il tempo dell’individualismo più sfrenato, non si fa altro che parlare del mito del dialogo, dell’empatia, dell’integrazione…  Non esiste politica dell’integrazione degna di questo nome che non implichi il riconoscimento di una differenza che non può essere in alcun modo condivisa”. L’integrazione, per lo psicanalista lacaniano, è “amare l’altro nella sua oscena differenza”. E indagando il rapporto tra i sessi, Recalcati (rifacendosi alla lezione del suo maestro che definisce tale rapporto come il fallimento dei fallimenti) non fa sconti: “non c’è modo di farlo funzionare. Non esiste rapporto sessuale tra uomo e donna: il godimento dell’uno è infatti sfasato rispetto a quello dell’altro. La donna chiede la parola, il segno dell’amore, esige di essere la sola, mentre l’uomo vuole godere del corpo e desidera quello di tutte. Eccola la contraddittorietà che impedisce ogni rapporto sessuale (L’amore – affermava Lakan – è la sola possibilità di supplire all’inesistenza del rapporto sessuale)”. Ma il fallimento dell’unione costituisce un’occasione o una inutile perdita di tempo? “Le coppie che non accettano tale disarmonia, sono quelle che funzionano peggio e soffrono maggiormente. Perseguendo l’idea del dialogo e della comprensione non accettano che ogni amore finisce in merda… (ndr – sorride lo psicanalista). Non colgono l’essenza, ovvero ciò che tiene insieme nel tempo le coppie: accettare che l’altro sia un mistero. Il suo corpo, la sua mente… preservano un’incognita. Trattengono un segreto. Ciò significa, concretamente, saper accettare l’incomprensione, la disarmonia, la differenza assoluta”. La consapevolezza che vi sia sempre qualcosa che non si può condividere (tra marito e moglie, tra padri e figli, tra generazioni, tra popoli…) non costituisce però necessariamente un limite secondo Recalcati. “Non dobbiamo temere ciò che non conosciamo. E’ inutile tentare di controllare quel che ci spaventa, perché la vita è più forte di ogni nostra capacità di controllo. Accogliamo quindi l’esperienza del disarmo, della debolezza, del fallimento…” perché è proprio in quegli anfratti bui che si cela la luce più abbagliante, quella del cambiamento. E della possibilità.
Jessica Bianchi

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