In un contesto provinciale caratterizzato da un calo di donazioni e di donatori, quello di Carpi – Soliera, Novi e Rovereto – si dimostra uno dei territori più virtuosi, potendo vantare segni positivi. Questa, in sintesi, la situazione fotografata nel corso della 55° Assemblea Provinciale dell’Avis, tenutasi sabato scorso nella nostra città, alla presenza dei delegati di tutte le cinquantuno sedi comunali del territorio modenese e di numerose autorità, tra le quali i sindaci di Modena e Carpi, Gian Carlo Muzzarelli e Alberto Bellelli, e i parlamentari Patriarca, Ghizzoni, Pini e Vaccari. Sebbene la provincia, con le sue 52.560 donazioni, pari a quasi il 20% della raccolta regionale, e i suoi oltre 28mila donatori, continui a detenere il primato in Emilia Romagna, il 2015 si è rivelato, rispetto a quello precedente, un anno con il segno meno. L’indisponibilità di molte sedi a causa dei lavori di assestamento strutturale resisi necessari in seguito al sisma, ha contribuito a far registrare un calo drammatico nel primo semestre, recuperato però in buona parte nel secondo.
Il bilancio conclusivo indica un calo nella raccolta dell’1,6%, con 857 donazioni in meno e un totale di 928 donatori, in diminuzione rispetto al 2014 del 2,8%. Ed è proprio rispetto a tali dati che Carpi si conferma in controtendenza, con un 2015 che registra 5.694 donazioni, ovvero quasi il 6% in più dell’anno prima, sebbene con un calo di 25 donatori (2.665 in totale).
Al di là dei dati, il messaggio dell’Avis provinciale lanciato dal presidente Maurizio Pirazzoli è stato chiaro: “non condividiamo – ha sottolineato – la visione della medicalizzazione della donazione del sangue. Ci è ben chiaro che chi governa il settore trasfusionale in questa regione considera la donazione un esclusivo atto medico e i volontari come brave persone capaci di fare tigelle, ciacci e borlenghi… che però non devono avere nulla a che fare con le sale prelievi. Sappiamo di essere vissuti più come una fastidiosa necessità che come un valore. La volontà di chiudere i piccoli punti di raccolta somiglia molto all’indirizzo adottato dalla sanità pubblica di superare i piccoli ospedali, ma una sede Avis non è un ospedale”. Per quanto riguarda la figura del cosiddetto ‘donatore a chiamata’, obiettivo del piano sangue e plasma regionale, Pirazzoli non lascia spazio a equivoci: “non esiste. Il donatore non è un rubinetto che si apre e chiude a piacimento. Non condividiamo nemmeno la scelta dell’officina trasfusionale unica a Bologna, perché con questo progetto il servizio modenese viene fortemente depotenziato e si spezza il legame forte tra volontariato del sangue e servizio pubblico, costruito in anni di lavoro. Ci vuole una vita per costruire valore, mentre bastano alcune delibere per spezzarlo. Vogliamo che le politiche della Regione assecondino le caratteristiche distintive del nostro modo di essere cittadini e volontari. Il verticismo che ho descritto è altra cosa rispetto alla sussidiarietà”.
Marcello Marchesini