È più di una rivalità sportiva. È talmente pieno di connotazioni sociali, storiche, geografiche, politiche, economiche, da espettorarsi come qualcosa di molto più profondo e intimistico. Dunque non meno che prezioso. Per noi, Carpi–Modena è uno stato d’animo. È la madre di tutte le partite che si sono giocate sotto il nostro cielo. Ed è una storia articolata lungo un secolo. Discontinua, certamente. Interrotta spesso. Ma mai e poi mai banale.
IL PREQUEL – Di qua e di là dal Secchia, il pallone comincia a rotolare seriamente al tramonto della Belle Époque. Le primissime contese sono i tornei pioneristici degli Anni Dieci. Le squadre, come era di uso comune a quel tempo, portavano effigie latine: da una parte c’è l’Audax degli studenti modenesi del Liceo San Carlo; dall’altra la Jucunditas, del carpigiano-svizzero Adolfo Fanconi che ha messo insieme gli amici del “Caffè degli Svizzeri” di Piazza Vittorio Emanuele (l’attuale Piazza Martiri). E questo è il prequel.
L’ALTRO STADIO – Poi, scoppia la Grande Guerra e si porta via tutto, comprese le denominazioni ante-litteram. Quando torna la pace, il calcio si riforma. Le due società si ricostituiscono e si ritrovano di fronte nel girone emiliano di Prima Divisione. Stavolta sì: sulle locandine che annunciano la gara ci sono i nomi delle due città. Perciò, di fatto, il film del derby Carpi-Modena per come lo intendiamo oggi, comincia nel 1919, quando il Cabassi ancora non esiste (verrà edificato 9 anni dopo). Il Carpi ospita e perde i primi due confronti al campo di S. Nicolò, di fronte alla basilica, nello spazio ricavato dall’abbattimento della cinta muraria.
GLI APRIPISTA – I primi gol assoluti sono dunque del Modena. Precisamente di un veronese, Egidio Chiecchi, che peraltro resta l’unico giocatore ad aver segnato una doppietta. Il primo marcatore biancorosso, invece, è proprio un carpigiano doc: Almo Morselli. Uno dei padri costituenti della nostra pedata. Era un attaccante universale, faceva l’ala, l’interno e talvolta persino il centravanti. Giocava cioè in tutti i ruoli offensivi della Piramide di Cambridge, il paradigma tattico di allora (oggi diremmo un 2-3-5).
I NUMERI – Poi, la sfida ritorna in uno scenario surreale: è il campionato di guerra del 1944 che sostanzialmente si gioca tra rappresaglie e bombardamenti. Dopodiché diventa un appuntamento fisso delle estati dei Settanta (in Coppa), e più avanti una classica dei Novanta (in C1). Infine, l’ultimo scatto d’epoca: dallo scorso anno il derby è derB.
In totale, sono 19 le sfide ufficiali disputate a Carpi (13 di campionato, 6 di Coppa Italia). Le ultime due si sono concluse in parità, che è l’esito più ricorrente (8). Il risultato uscito più volte è lo 0-0 (4). Il bilancio di Coppa è in perfetto equilibrio: 4 pareggi, una vittoria e tre reti a testa. In campionato, tuttavia, è avanti il Modena con 6 successi (14 gol a 9), l’ultimo dei quali 17 anni fa. Ne dista 18, invece, l’ultima delle 3 indimenticabili affermazioni biancorosse (tutte consecutive).
IL PIU’ BELLO – Dominare dall’inizio, senza soluzione di continuità, e segnare alla fine: qualsiasi tifoso vi dirà che non c’è un modo comparabile a questo per vincere un derby. Era il 22 settembre 1996, l’alba del grande sogno infranto nel maledetto spareggio di Ferrara. Il Cabassi, stipato in ogni ordine di posto, ribolliva: buona parte degli oltre 5000 spettatori perse la voce. Tutti, ma proprio tutti, si stropicciarono gli occhi. Si giocò non a senso unico, ma a porta assediata che è diverso. E una cosa, in particolare, si capì distintamente: cioè che il terzino sinistro, un fuso di granito lungo quasi due metri, aveva stoffa. Marcava, picchiava, impostava, rinviava preciso, usciva palla al piede con eleganza principesca. Si chiamava Marco Materazzi, e presero nota tutti. Dieci anni più avanti, nella finale Mondiale di Berlino, avrebbero preso nota pure i francesi. Il Modena non superò mai la metà campo. Venne asfissiato, sopraffatto fisicamente. Il Carpi flirtò con il gol fino allo scadere. Poi, Marco Cavicchia ci consumò letteralmente un amplesso. Decise da pochi passi, sotto la Curva Ovest, di cui fece tutto il giro per esultare con il Mucchio Selvaggio. Ciò che ne seguì divenne il coro-tormentone dell’anno: “un boato che farà tremar la terra e il mar”.
Enrico Gualtieri