La chiamano la Madre con la collana. Un nome denso di fascino che evoca il grande ghiacciaio pensile situato vicino alla sua maestosa vetta. L’Ama Dablam si staglia, elegante, tra le nuvole, a 6.856 metri, sopra il monastero di Thyangboche, nel cuore della terra degli Sherpa, il Khumbu Himal, non molto distante dall’Everest e dal Lhotse. Inconfondibile, la sua sagoma piramidale è un amato simbolo del Nepal, nonché meta ambita da innumerevoli scalatori. A voler sfidare le pareti verticali e le sue ripide creste affilate vi è anche il 28enne correggese Federico Davoli, sorridente volto del Centro Tim di corso A. Pio a Carpi. Un amore per la montagna, il suo, che viene da lontano. Scorre nelle sue vene. “Mia madre è trentina; sono cresciuto ai piedi delle Dolomiti di Brenta. Quelle montagne sono nel mio cuore, fanno parte di me”. E dalle lunghe passeggiate tra i boschi, calcando antichi sentieri, Federico non ha resistito al richiamo dell’avventura, alla bellezza della natura selvaggia. Della scoperta: “due anni fa sono partito alla volta del Nepal, appoggiandomi a un’agenzia specializzata nell’organizzazione di spedizioni sulla catena himalayana. Abbiamo affrontato l’ascesa del Mera Peak, attraversando tipici villaggi sherpa, vivendo a contatto con questo popolo ospitale e straordinario, godendo delle visioni spettacolari sulla valle dell’Everest. Abbiamo attraversato fiumi, foreste, vallate… è stata un’esperienza forte e bellissima che mi ha dato la possibilità non solo di scoprire una terra affascinante ma di conoscere un amico prezioso”. Insieme a lui e a un altro compagno di scalata, entrambi svizzeri, Federico volerà, ancora un volta, sabato 11 ottobre, sul tetto del mondo, per sfidare se stesso in un’avventura ben più ostile: la scalata dell’Ama Dablam. Il Cervino dell’Himalaya. Un viaggio del corpo e dell’anima iniziato un anno fa, alla ricerca della giusta concentrazione mentale e della perfetta forma fisica: “accanto a un allenamento fisico costante in palestra e in alta quota, la sfida più dura è quella di rafforzare al massimo la propria motivazione. Per salire sino in cima, occorre essere saldi e animati da una grande convinzione. Quando sei esausto è il cervello che ti fa andare avanti. Che ti dona la forza di andare oltre. Un passo dopo l’altro. Nonostante il freddo, la fatica e i muscoli doloranti”. Ad attendere i tre giovani vi saranno cinque giorni per avvicinarsi alla base della montagna e altri venti per raggiungerne la sommità: “sono ansioso di partire e intraprendere questa avventura. Sarà un’occasione preziosa di crescita personale. Per vincere i propri limiti e cercare, con caparbietà e determinazione, di raggiungere un obiettivo”. Sarà anche un viaggio di condivisione e di amicizia, perché “i legami che nascono in alta montagna – sorride Federico – sono speciali. Ci si affida totalmente e ci si aggrappa l’uno all’altro nei momenti di difficoltà. La fiducia è totale. L’amicizia nata tra le rocce e la neve è la più forte”. Calpestare la cima, dominare il panorama, sarebbe per Federico “il coronamento di un sogno” ma, sottolinea più volte, non è l’obiettivo. “Salire è facoltativo, tornare a casa è obbligatorio”, proclama scaramantico.
Jessica Bianchi