Noi diciamo no alle slot!

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A smentire chi pensa che il GAP – gioco d’azzardo patologico – sia solo una questione confinata alle sale scommesse, ai casinò e, in generale, a quei luoghi chiusi e anonimi nei quali si ritrovano le fasce del disagio sociale più estreme, basterebbero le parole di Pierangelo Bertoletti, psicologo del Servizio dipendenze Area Nord. “In realtà tante persone non frequentano le sale scommesse, perché li ritengono luoghi del disagio, per gente all’ultima spiaggia. E’ molto più facile vedere un’anziana signora comprare un gratta e vinci e pensare che non vi sia nulla di male. Poi, però, 20, 30 euro al giorno, o anche più, vengono spesi in bar e tabacchini e, spesso, da categorie che non navigano in situazioni di grande benessere economico”. E allora i bar con al proprio interno le slot-machine possono rivelarsi più insidiosi proprio perché, almeno all’apparenza, innocui. “Gioco 10 minuti, mi compro un gratta e vinci e mi bevo un caffè: cosa vuoi che sia?”. A chi non è capitato di sentire, all’interno di un bar o dal tabaccaio, una frase di questo tipo? Solo che poi, a volte, i minuti si sommano, sino a diventare ore, e la cifra spesa nel gioco supera di gran lunga non solo quella delle vincite ottenute – il 70% delle quali va ai giocatori, mentre il restante 20% circa viene diviso tra gestore del pubblico esercizio e proprietario delle macchine – ma anche la cifra giornaliera spesa in generi di prima necessità. A Carpi, stando agli ultimi dati disponibili, risalenti al 2011, sono 162 i bar che ospitano, al proprio interno, le macchinette per il gioco. A questo numero va aggiunto quello dei tabacchi, sui quali però non esistono dati ufficiali. C’è però chi ha saputo resistere all’allettante richiamo delle sirene delle slot. Una scelta non sempre semplice: “non è stata una decisione presa a cuor leggero – spiega Daniela Mammi, titolare del Caffè De Amicis, subentrata alla precedente gestione da un paio d’anni – sono sola, con due figlie di 20 e 17 anni, ho fatto dei debiti che pian piano sto ripagando e decidere di togliere le slot ha significato dover rinunciare a far studiare mia figlia all’Università, in attesa di estinguere i debiti. Ma non sopportavo di vedere un via vai di persone che si avvicendava alle macchinette. I clienti però hanno premiato la mia scelta, perché sono aumentati e il locale è molto più sano rispetto a prima”. Anche quando c’erano, Daniela lasciava le slot spente per la maggior parte del tempo, perché eticamente contraria. Per questo, racconta, i gestori delle slot, notandolo, le hanno fatto qualche pressione, lamentandosi. “Portano un po’ di incasso, è vero, ma non mi va di ‘rubare’ in tasca a chi è nella mia stessa situazione e spesso fatica ad arrivare a fine mese. Ora sono contenta, lavoro meglio e in modo più sereno”. C’è anche chi, come Marco Malagoli ha deciso, spostandosi in via Pintor, di rinunciare: “quando lavoravo al Bar David in via Ugo da Carpi ne avevo tre o quattro – commenta – ma quando, quattro anni fa, ho aperto il Marco’s Bar ho deciso di escluderle a priori, perché non rientrano nella mia idea di bar, non mi piacciono e spesso disturbano i clienti che non entrano per giocare. Come se non bastasse – aggiunge – sono una fonte di attrazione per i ladri”. Anche il Postal Bar, nella nuova gestione di Francesco Caiola, è ‘slot-free’. “Sono qui da poco più di un anno e quando ho preso in gestione il locale ho deciso che non ci sarebbero state slot. Il gioco non è proprio nel mio dna, e sono anzi convinto che rovini le famiglie e spinga le persone a indebitarsi pur di trovare soldi da spendere. Insomma, è una pratica che non mi appartiene e il mio bar lo rispecchia”. Il punto non è certo quello di colpevolizzare i gestori che accettano di installarle all’interno del proprio locale, dato che gli introiti derivanti possono, in tempi di magra, rappresentare una boccata d’ossigeno, quanto di proporre valide soluzioni alternative, sensibilizzare i clienti e fare appello al senso civico di ciascuno, per ricordare a tutti che in una società sana, seppure importante, il denaro non rappresenta tutto, e ci sono cose che, per denaro, non si dovrebbero vendere. Il Comune di Soliera, per esempio, ha ridotto l’importo della Tares per tutti i gestori di locali che sceglieranno di eliminare le slot, o che si impegneranno a non installarle. E dai primi dati l’iniziativa ha avuto un effetto, oltre che concreto, decisamente positivo: su 21 locali, 5 hanno aderito e detto no alle slot. Sarebbe davvero opportuno – considerato che ogni italiano, bambini compresi, spende 1.300 euro all’anno nel gioco d’azzardo legale – domandarsi se una società che accetta di ‘giocarsi’ la salute e il benessere altrui pur di racimolare fondi possa definirsi civile. Ovvero se sia sensato trattare le persone, assecondando le loro debolezze, come espedienti per fare cassa.
Marcello Marchesini

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