“Noi credevamo”

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“Non pensate che la vostra zona sia un paradiso felice. Secondo gli investigatori infatti, la presenza delle mafie è forte e radicata anche al Nord. D’altra parte, se nel meridione si producono i piccioli – i danari – da qualche parte bisogna pur lavarli. Ecco, voi siete la lavatrice delle mafie”. E’ con queste parole che Pippo Giordano, intervistato in Piazza Garibaldi dal caporedattore di Radio Bruno, Pierluigi Senatore, nell’ambito della rassegna Ne vale la pena, ha spiegato l’interesse della criminalità organizzata per il ricco Nord Italia. D’altronde Giordano, Cosa Nostra, la conosce bene. Palermitano, ispettore della Direzione Investigativa Antimafia negli anni delle indagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con i due uomini simbolo, della lotta dello Stato alla mafia, ha lavorato a stretto contatto. Nel suo Il sopravvissuto racconta, da testimone diretto, un trentennio di Storia del nostro Paese, di quando pensava di poter sbaragliare il fenomeno mafioso alla delusione derivante dall’aver compreso che una parte delle istituzioni, questa vittoria dello Stato, non avevano alcun interesse a ottenerla. “Mi definisco il sopravvissuto – spiega Giordano – perché per un paio di volte Cosa Nostra ha tentato di porre fine alla mia esistenza. Con alcuni dei miei colleghi, d’altronde, è riuscita nell’intento. Molti, anche allora, mi chiedevano chi me lo facesse fare, ma il punto è che la nostra, non era una scelta di convenienza, bensì di vita. Sognavamo di avere una Palermo, una Sicilia e un’Italia libere dal condizionamento mafioso. E negli Anni ’80, se ci avessero dato quel che chiedevamo, ovvero auto più appropriate, microspie e computer, forse avremmo potuto farcela. Ma gli strumenti adeguati non ci sono mai stati forniti e, da parte di una frangia dello Stato c’è, per questo, una responsabilità oggettiva”. La vita di Giordano e dei tanti che con lui lottavano, non era certo invidiabile: “uscendo di casa la mattina tutti noi sapevamo che poteva essere l’ultima occasione per dare un bacio a nostra moglie o porgere una carezza ai nostri figli. Qualcuno doveva tentare di dare risposte alla società. Ne parlavamo spesso, io e Ninni Cassarà (dirigente della Squadra Mobile di Palermo ucciso in un agguato nel 1985, a soli 38 anni) se tutti ci fossimo tirati indietro, che razza di società avremmo consegnato ai nostri figli? Noi credevamo in quello che stavamo facendo. Ci credevamo profondamente”. Purtroppo il nostro è un Paese che “dimentica quel che gli è capitato ieri e non pensa a quel che gli succederà domani”, ha aggiunto Giordano. Per questo la lotta alla mafia, oggi, sembra si faccia con l’ausilio di molte parole e pochi fatti. “Quando si comincia a proporre di ridurre le intercettazioni telefoniche, quando si mettono in discussione il 41 bis o il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, è come se la morte di Falcone non fosse servita a nulla. Borsellino diceva di parlare di mafia in ogni luogo e in qualsiasi momento, ma lo Stato e il potere politico devono garantire gli strumenti per la lotta sul campo alle mafie, altrimenti la battaglia non può essere vinta”.
Marcello Marchesini