Il mio cuore è rimasto in Giappone

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Ha ventinove anni ed è nato il 2 aprile del 1983. Nato, ci tiene a sottolinearlo, sotto il segno dell’ariete: tanto gentile quanto caparbio. Marco Palladino ama viaggiare, conoscere gente, studiare lingue straniere, ma è senza dubbio la musica a occupare, nella sua vita, il primo posto: è dj da quando aveva 15 anni, suona il pianoforte, scrive canzoni ed è produttore musicale. Ha lavorato anche a Radio Bruno e ora si sta dedicando alle serate in discoteca come DJ e alla realizzazione di un album di musica pop/dance: “che vorrei poter portare con me in Giappone per produrlo là. Al momento ho già realizzato alcune canzoni e un video musicale – diretto dal regista Tiziano Paltrinieri – presente su youtube”. Insomma, come avrete già capito, se a Marco passa qualcosa per la testa, state pur certi che la realizzerà. “Non c’è niente e nessuno che potrà farmi cambiare idea”. Ed è proprio questa sua caratteristica che l’ha portato a sperimentare sempre nuove esperienze che, tra le altre cose, lo hanno spinto a partire per il paese del Sol Levante.
Perché proprio il
Giappone?  
“Ci sono andato per la prima volta nel 2009. Ai tempi ero attratto del fascino orientale di manga e anime, ovvero i fumetti e i cartoni animati giapponesi. Dopo quel viaggio capii subito che Tokyo era il posto in cui avrei voluto vivere. Così, dopo tre anni, si sono verificate le condizioni propizie e, senza indugio, il 3 aprile 2012 sono partito! Si tratta di una città affascinante, una metropoli che non dorme mai. Pur amando l’Italia, la mia famiglia, i miei amici e le mie radici, sento che Tokyo è il luogo su misura per me, quello in cui vorrei vivere. Inoltre mi piacciono i giapponesi. Sono persone interessanti e il loro stile di vita, il loro modo di relazionarsi con gli altri, sono davvero diversi da nostri. Attualmente mi trovo in Italia, sono rientrato a fine dicembre, dopo 9 mesi di permanenza in Giappone”.
Prima della tua avventura nipponica a cosa ti dedicavi?
“Lavoravo nel sociale. Facevo l’Operatore/Educatore presso lo Spazio Giovani di Soliera. Lavoravo con i ragazzi dagli 11 ai 20 anni e mi occupavo sia dell’apertura del servizio, sia della realizzazione di laboratori musicali rivolti ai giovani del territorio. Allo Spazio Giovani mi sono sempre divertito molto ma, allo stesso tempo, mi sono trovato a dover affrontare le questioni delicate di ragazzi problematici o con alle spalle situazioni ben poco felici.In contemporanea facevo il DJ in discoteca e, nel tempo libero, lavoravo ai miei progetti musicali”.
Cosa hai fatto a Tokyo?
“Ero principalmente uno studente! E’ buffo tornare sui banchi di scuola a 29 anni, dopo 10 anni di assenza. A Tokyo studiavo giapponese: tutti i giorni dalle 13 alle 17, dal lunedì al venerdì. Inoltre lavoravo part-time in un ristorante italiano nel quale, però, l’unico italiano ero io! Tutti i  miei colleghi erano giapponesi e pertanto si parlava solo giapponese. Anche lo chef, il signor Wada San, è giapponese, ma devo ammettere che la sua cucina è ottima. E’ incredibile come siano stati bravi a copiarci anche in questo! I nomi delle pizze erano un po’ buffi, ma il sapore era squisito. Grazie a loro non ho avuto molta nostalgia del cibo italiano. Infine, e qui lo dico con orgoglio, facevo il DJ a Tokyo: lavoravo tutti i venerdì notte in un club di Roppongi e proponevo musica dance europea. Roppongi è il quartiere dei locali e dei club della megalopoli. La movida notturna per eccellenza si sviluppa per le sue vie e soprattutto sulla famosa via Gaien-higashi-dōri sulla quale si trovava il 247 Twentyfour seven, il club nel quale mi esibivo io. Ho suonato anche a Shibuya il quartiere fashion. Qui ho avuto anche avuto l’onore di esibire il mio dj set durante la sfilata di moda di una stilista emergente. Insomma, a Tokyo mi sono divertito, ma non posso  negare di essermi anche dato molto da fare: tra scuola, studio, lavoro e serate, il tempo scarseggiava. Ma era bello così, a Tokyo non c’è tempo per fermarsi. La vita scorre frenetica e con dei ritmi serrati che spesso lasciano poco tempo per se stessi”.
E gli amici?
“Nel tempo libero uscivo con amici sia giapponesi che provenienti da diversi paesi del mondo. Cenavamo negli Izakaya che sono i tipici locali dove si mangia e soprattutto si beve, andavamo al Karaoke, anche se io dopo un’ora di canzoni giapponesi non ne potevo più! Non mancava una puntata in sala giochi oppure, con le ragazze, facevamo i Purikura che sono foto stupide scattate all’interno delle cabine fotografiche, che puoi personalizzare con tanti effetti e fotomontaggi. Una moda che spopola tra le giovani giapponesi! Almeno due volte a settimana frequentavo con gli amici i club di Tokyo, del resto io sono un ‘party people’, e preferisco sacrificare preziose ore di sonno in cambio di alcune ore di divertimento. Devo dire che i giapponesi sono tipi socievoli ma un po’ chiusi nelle relazioni. E’ difficile entrare in sintonia con loro perché, a differenza di noi italiani, lasciano poco spazio alle emozioni, si contengono nell’esprimere i propri sentimenti e, spesso, è difficile capire cosa vogliano dire perché nella cultura giapponese non è concepito il rifiuto esplicito. A qualsiasi domanda un giapponese risponderà sempre di sì, mentre dovrai essere tu a interpretare il vero significato. Però ho stretto amicizie importanti, mi sono innamorato un’infinità di volte e anche se ancora non trovato la persona giusta, devo ammettere che mi piacerebbe avere un relazione stabile con una ragazza giapponese”.
Com’è stato l’impatto con una cultura tanto differente?
“L’impatto più forte è stato quello con la lingua. Capitava spesso di uscire allo stesso tempo con amici italiani, stranierei e giapponesi, quindi era un vero caos passare rapidamente da una lingua all’altra. Spesso capitava di iniziare una frase in italiano, continuarla in inglese e concluderla in giapponese. Dopo 9 mesi di studio intenso, posso dire di padroneggiare sufficientemente la lingua.
A differenza di quanto si possa immaginare, i giapponesi non parlano inglese. In questo sono peggio degli italiani! Un grosso problema per chi spera di cavarsela con l’inglese. Considerate che anche le insegne stradali sono per lo più in giapponese”.
E’ una lingua difficile?
“Eccome! La scrittura poi è qualcosa di incredibile: tanto difficile quanto affascinante. Il giapponese ha quattro alfabeti: Hiragana e Katakana, che sono composti ciascuno da soli 45 simboli circa, il nostro alfabeto romano e infine i Kanji, che noi chiamiamo comunemente ideogrammi, ovvero quei simboli che derivano dall’alfabeto cinese. Quest’ultimo è il più difficile, in quanto il numero di kanji esistenti sfiora l’infinito! Si dice che siano quasi 50mila. Ovviamente nemmeno un giapponese li conosce tutti e per fortuna, per essere in grado di leggere un giornale, ti basta conoscerne ‘solo’ 3.000 circa. La scrittura giapponese è un mix di questi quattro alfabeti, ma vi assicuro che per quanto possa sembrare impossibile, vivendo e studiando in Giappone anche questo ostacolo può essere superato. Tokyo è una città che non dorme mai. E’ possibile fare shopping a qualsiasi ora del giorno e della notte! Alcuni centri commerciali e ristoranti non chiudono mai – aperti 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, alla faccia delle liberalizzazioni. La metropolitana è sempre affollata, e nelle ore di punta ci sono gli addetti della stazione che spingono (nel vero senso della parola) la gente dentro i treni per farcela stare tutta. Nonostante tale marea umana, all’interno dei vagoni il silenzio e il rigore regnano incontrastati. Insomma là ho lasciato amici, emozioni, persone per me speciali, sogni e anche un pianoforte che avevo comprato per colmare la mia astinenza di musica!  Sono certo che un giorno, forse non troppo lontano, tornerò per riprendermi tutto ciò che vi ho momentaneamente lasciato! Sono anche in cerca di un lavoro che mi consenta di vivere a Tokyo. Quindi lancio un appello a tutte le aziende italiane che lavorano col Giappone e sono in cerca di personale che parli lingua e sia disposto
a vivere là: io ci sono”.
Marcello Marchesini


 

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