Se non vogliamo essere dimenticati, impariamo a essere i primi a non dimenticare

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Sento sempre più spesso le lamentele di chi trova ingiusto il fatto che il terremoto emiliano sia da tempo sparito non solo dalle prime pagine dei quotidiani o dalle notizie d’apertura dei telegiornali, ma anche da quelle interne. Ora, la domanda è questa: cosa sapevamo noi emiliani della situazione de l’Aquila appena prima che un terremoto ‘domestico’ venisse a ridestare il nostro interesse per situazioni analoghe?
Ci ha mai preoccupato davvero il fatto che tragedie, catastrofi e cataclismi che avvengono fuori del nostro recinto subiscano la stessa sorte che sta toccando a noi, scomparendo appena la luce di un nuovo dramma le sostituisce, attirando le falene dei media? Non mi pare di aver mai sentito protestare quando si è smesso di parlare dell’alluvione in Liguria, così come dei vari terremoti susseguitisi negli anni un po’ in tutta Italia – se non per alludere ai tempi biblici della ricostruzione cui, purtroppo, il Paese in cui viviamo ci ha spesso abituato. Per non parlare della partecipazione che dimostriamo quando le calamità hanno la sfortuna di capitare oltre confine: a quel punto il disinteresse diventa pressoché totale, non importa quante centinaia o migliaia di morti ci siano. A onor del vero, sappiamo essere anche molto attenti: quando ci gustiamo con morbosa voluttà ogni lacrima della madre a cui hanno ucciso la figlia, ogni sguardo del marito che ha ammazzato la moglie, ogni folle che si è macchiato dei più infami delitti sanno catturarci meglio di qualsiasi dramma collettivo. Allora sì che ridiventiamo spettatori partecipi, non del dolore ma del grottesco, accettando senza batter ciglio centinaia di puntate dei programmi più beceri che mettono in scena senza vergogna la sordida televisione del dolore. Come pendiamo dalle labbra di questo o quel presentatore quando ci forniscono l’occasione di assistere alla messa in scena di un circo dell’orrore che non ha rispetto per niente e nessuno, come diventano pieni di bramosia i nostri occhi. Come luccicano! In quei momenti cosa ci importa della fabbrica che scarica sugli abitati circostanti fumi tossici, dell’alluvione che ha distrutto paesi, della discarica abusiva che semina morte? Se vogliamo che ci sia riservato un trattamento diverso, impariamo a essere i primi a rifiutare lo schematismo dei media, la loro sete di una tragedia sempre nuova, la loro cronica amnesia. Altrimenti, l’appello a un’attenzione differente soltanto quando abbiamo la sfortuna di essere tra le vittime ha tutta la – poca – autorevolezza della richiesta di un privilegio che non abbiamo saputo meritarci. Se non vogliamo essere dimenticati, impariamo a essere i primi a non dimenticare.
Marcello Marchesini

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